giovedì 29 marzo 2007

Casa d'altri

Per un attimo, per un attimo solo, ho invidiato suo marito. Poi ho pensato che magari ciò che faceva con me, o meglio, quello che Antonella era con me era del tutto differente da quello che era con suo marito, da quello che faceva con suo marito.
La prima volta che è salita da me non ci eravamo mai ancora toccati. Cioè, sì, qualche rapido bacio al nostro primo appuntamento, quello in cui entrambi c’eravamo presentati dicendo più che esplicitamente che era solo per conoscerci meglio, per due chiacchiere, che diamine, diceva lei, sono sposata, che diamine, rispondevo io, sei sposata.
E invece.
E invece dal momento in cui l’avevo vista allontanarsi verso il parcheggio mentre io andavo in direzione opposta per non destare sospetti (assurdo, peraltro: va bene che la prudenza non è mai troppa, ma alle volte esageravamo a pensare che tutta la città avesse occhi che guardavano soltanto noi) – dicevo dal momento in cui l’avevo vista voltarsi verso di me e farmi un complice, timido occhiolino, il nostro unico pensiero era quello di quando ci saremmo toccati davvero. Quando avremmo smesso di essere due persone, di cui una sposata, per diventare due corpi.
Antonella sale le scale in jeans. Ha quarant’anni ma s’è vestita come se ne avesse diciotto, magari se qualcuno da lontano la vedesse di sfuggita, così com’è, potrebbe anche cascarci. Io non ci casco, anche perché ciò che mi eccita più di tutto è che lei abbia davvero quarant’anni. E che salendo le scale voglia averne diciotto.
Chiudo la porta dietro di noi. Inizia a baciarmi. La lingua. Al secondo bacio mi sta slacciando i pantaloni. Al terzo il mio cazzo è libero di fluttuare nell’aere. Al quarto bacio solo lei usa le labbra, inginocchiata davanti a me. E io che volevo trattarla bene. In fin dei conti è una signora. Non volevo farla inginocchiare. Invece lei è laggiù, e succhia.
Insomma, il sesso - o quanto meno il sesso penetrativo - è sempre piuttosto uguale a sé stesso, vero, e quando ci ripenso mi capita di ricordare soltanto alcuni dettagli che distinguono un rapporto dall’altro. Di Antonella ricordo il gesto che ha fatto quando mi è finalmente salita sopra, senza nemmeno spogliarsi del tutto. Mi ha preso il cazzo in mano. L’ha avvicinato a sé. Mi ha lasciato scivolare dentro e poi s’è portata le dita della stessa mano alle labbra, facendo una smorfia, come di persona che prova un dolore o un piacere troppo immenso per avere un’unità di misura.
Io non sono tanto presuntuoso da pensare di averle dato un piacere smisurato al solo metterle dentro il mio cazzo (che sarà carino, aerodinamico, pluriapprezzato ma pur sempre un cazzo resta); c’è voluto un attimo a capire che quel piacere, quel dolore, quei polpastrelli aggrappati alle labbra significavano il piacere di non essere con suo marito.
Allora non l’ho invidiato più.

domenica 4 marzo 2007

Acquasanta - Diavolo 1 - 0

Mi è arrivata in mente un po' così, quella proposta strana. O l'ho ragionata molto, adesso non ricordo.
Avevamo discusso a lungo di fisiologia maschile e femminile e di quanto potessero, tutto sommato, assomigliarsi. Almeno per alcune parti anatomiche. Ma tu, testardo, non cedevi su quell'unico punto. Il culo. E io, testarda più di te, ribattevo che era una questione di testa quel tuo essere ritroso, mica di sensazioni. Che un culo è un culo, maschio o femmina che sia, con le sue innervature e i suoi vasi sanguigni. E se tu sei convinto che debba piacere a me - donna - io posso essere convinta che piacerà pure a te - uomo - almeno a livello di terminazioni nervose. Il cervello poi, non lo so. Ma il cervello, spesso, gioca strani scherzi.

Così un pomeriggio - eravamo sul divano, ricordi, in accappatoio dopo la doccia; e ancora illanguiditi dal tepore dell'acqua e della stanza da bagno, in bilico fra il fare e il riposare, ci guardavamo le rispettive nudità far capolino dagli spacchi e dagli scolli di spugna, pregustando entrambi la nostra fantasia personale da mettere in atto da lì a poco, curiosi di vedere chi avrebbe avuto la meglio - mi è tornata in mente la nostra discussione.

Oh, lo dici sempre che son subdola. E a ragion veduta.

Ho alzato l'accappatoio mostrandoti le terga e penetrandomi con due dita, mentre le altre due le ho infilate nella figa, ancora umida di vapore acqueo. E tu ci sei cascato con tutte le scarpe.
Ti sei precipitato a prendere il gel e quel cosetto bislungo che mi regalasti a Natale, senza molta convinzione, devo dire.

"Era ora", avrai pensato.

Abbiamo giocato a lungo, prima. Mani, lingue, cinture di spugna, accappatoi e seni. Ci siamo eccitati per bene, non c'è che dire, e io non mi sono certo risparmiata. Ti ho leccato a lungo cazzo e palle, con brevi ma decise incursioni all'ano, ma così, distrattamente, quasi che fosse una tappa di passaggio, una stazione intermedia del nostro viaggio: e visto che ero lì, perchè non soffermarmici? Mi sono masturbata guardandoti dritto negli occhi, ho raccolto i miei umori e mi sono bagnata il buco del culo, affinchè tu potessi vedere quanta voglia avevo di fare la troia e farmi prendere da dietro.

E poi? E poi cosa è successo? Ricordi? Hai preso il gel, bagnato me e l'affare bislungo con cura, ed eri pronto ad infilzarmi come un tordo allo spiedo. Ma io no.

Mi sono messa sotto di te, distesa. Tu a gambe divaricate sul mio viso.

Ho preteso di leccarti ancora il cazzo, le palle, togliendoti en-passant l'affare di mano, per renderti, diciamo così, più agevole il godimento. Ho succhiato con convinzione, gustando ogni attimo che mi avvicinava alla mia nemesi. Ho passato su e giù la lingua lungo l'asta, ho insistito sulla cappella, sul buchino, ho seguito diligentemente ogni vena, ogni piega, ogni curva della pelle.

Ti ho massaggiato dolcemente le palle, le ho titillate con le labbra, le ho inghiottite e tenute al caldo mentre ti accarezzavo con la mano libera. Ho preso di nuovo in bocca il cazzo e poi ho obbedito alla tua mano che mi teneva per i capelli e la nuca e me lo ficcava in gola con forza. Tenevo gli occhi bassi, concentrata sul tuo piacere, che poi era anche il mio.

Ti ho afferrato il culo con le mani, con decisione. Eri sul punto di esplodere. Sentivo pulsare le vene del cazzo, gonfiarsi la cappella. Mi sono fermata.

Ti ho guardato in quell'istante. Ed è lì che sei caduto.

Mi hai lanciato uno sguardo fra il preoccupato e l'interrogativo ma avevi già perso l'attimo. Il cazzo godeva e la tua mente era in volo.
Ho separato entrambi i glutei, ho inumidito il tuo buchetto con il gel che colava dall'affare e te l'ho infilato dentro. Un colpo, uno solo.

Poi, molto lentamente, l'ho sfilato e fatto scorrere di nuovo dentro.

Hai cambiato espressione una decina di volte. Sorpresa, paura, forse solo un accenno di rabbia per essere stato gabbato e poi di nuovo sorpresa e, dopo la sorpresa, piacere. Carnale, pieno, inaspettato, umanissimo piacere. Goduria. Lussuria allo stato puro, aggravata da un vago senso di colpa per quel sospetto e presunto godimento omosessuale.

Il tuo cazzo è venuto, con forza. Ho pompato e succhiato e inghiottito fino all'ultima goccia.

Ho continuato a spingerti dentro l'affare, su e giù, su e giù, cambiando velocità e intensità, ruotandolo, tirandolo fuori fino alla finta cappela per poi rimanere in bilico con piccoli movimenti rapidi.

Non la finivi più di eiaculare. Oramai avevi il cazzo moscio, eppure continuavi ad innaffiarmi con decisi getti di sperma, sul viso, sui capelli, sul seno.

Mi sono gustata il tuo seme e la tua faccia. Non eri più su questa terra, questo è poco ma sicuro.

Quanto ti ho tolto l'affare bislungo dal culo e me lo sono infilato dentro, ancora caldo di te, ansimavi come un cane infoiato. Mi hai guardato, mentre un barlume di coscienza ti tornava alla mente. Ti ho guardato, mentre perdevo coscienza io, con l'affare bislungo che entrava e usciva come indemoniato dalla mia figa. E' stato tutto molto rapido, devo dire.

Ma prima di cominciare ad urlare per un orgasmo fulminante ho avuto la prontezza di ribattere "tesoro, vedi che avevo ragione io...?".