lunedì 31 dicembre 2007

Considerazione teo-antropologica d'autore

"Be', quasi tutti i pornografi di successo sono ebrei. E anche cattolici. Lei è cattolico?"
(Philip Roth)


venerdì 28 dicembre 2007

Vicky Vette vs. Gianna Michaels

Il fatto è che di solito ho accesso a internet da un computer schermato, il che limita non poco la mia pornomania; così succede che quando ho una connessione libera mi scateno a incamerare (a mo' di formica) foto e video porno in quantità da godermi (a mo' di cicala) quando sarò limitato. Cosa sarebbe la vita senza un po' di previdenza?

Oggi avevo a disposizione una connessione libera. Per quanto bulimico, però, sono ragionevole e soprattutto sistematico: la prassi è che ogni volta mi limito a scaricare filmini di due sole pornostar per volta, procedendo in ordine. Oggi è toccato a Vicky Vette e a Gianna Michaels, mirabile coincidenza di opposti.

Vicky Vette, bionda norvegese, è bassina e soda. Il suo punto forte sono le tette enormi (ovvio), e in particolar modo i capezzoli dalle areole particolarmente estese, il che garantisce un'ottima visibilità in favore di telecamera. Questo sarebbe niente, però, se Vicky non avesse dalla sua una capacità non comune di apparire porca; di più: di essere intimamente porca e di mostrarlo senza ritegno. Non è la solita esagerazione da ufficio stampa di una pornostar (anzi, magari lavorassi per il suo ufficio stampa; non mi farei nemmanco pagare). Ciò che è intendo dire è che Vicky Vette adotta spesso nei suoi video una prospettiva per così dire casalinga; è una delle pornostar meno costruite quanto a trucco, etc; il suo faccino coi dentoni è quale mille ne possiamo incontrare per strada, e tuttavia non è mai trascurata, mai sciatta, solo poco vestita. L'entusiasmo con cui si getta su uno o due o tre cazzi per volta - o sulle tette delle sue amiche e/o colleghe - è non comune e lascia dietro di sé una scia di familiarità che fa supporre e sospettare che tali divertimenti vadano avanti con estremo piacere anche a telecamera spenta; così che chi come me si masturba guardandola si senta più coinvolto dai sorrisi che Vicky non risparmia mai, nemmeno nell'anal più sfrenato; e gode più sereno nella piena consapevolezza che, per quanto intangibile e irraggiungibile, Vicky Vette esiste veramente.


Gianna Michaels, mora americana, è quello che nel mondo anglosassone si definisce "quite a big girl", proprio una ragazzona. Ha la faccia da teen (un po' cavallina, forse; ma ciò non mi ha impedito di innamorarmene) e due tette che in questo caso sono davvero enormi, preponderanti, quasi sproporzionate. Roba da soffocare chiunque osi avvicinarsi; un abbraccio materno che contrasta stupendamente con la sua aria da troietta ingenua. A prima vista parrebbe più raffinata ma ha una risata spontanea e rumorosa che ne denunzia le umili origini; e questo fa piacere, in un mondo di donne buone solo a vergognarsi della naturalità. Gianna invece non si vergogna affatto di nulla, e da questo deriva la sua incredibile verve nell'accoppiamento plurimo. Ha una spontaneità che toglie di mezzo ogni possibile imbarazzo; e che rende adorabili perfino le smagliature - un po' precoci - che affiorano ai lati delle sue tette da peso massimo.

Insomma, sono due tipi estremamente diversi di donna - la moglie e la fidanzatina ideali - e fra le due non saprei chi scegliere. Si accettano suggerimenti.

domenica 23 dicembre 2007

Merry Xmas

(E voi che ne dite, vi piacerebbe essere Babbo Natale per un giorno?)

Auguri da Diavolo & Acquasanta

lunedì 17 dicembre 2007

Sarà che ho la sbornia triste

Sarà che ho la sbornia triste, ma questo filmato con Shyla Stylez più lo guardo e lo riguardo, più accresce in me il rimpianto di non aver infilato una manaccia nelle prime scollature che scorgevo fra i banchi del liceo.


(E, diciamolo, che tette Shyla Stylez!)

giovedì 13 dicembre 2007

Per stomaci forti

Porcelline e porcellini, immagino che nella querelle fra Luttazzi e Ferrara alcuni stiano col primo, altri col secondo. Personalmente, non ce ne frega nulla; intendiamo piuttosto rivolgerci a quei pochi, se ci sono, che - immaginando Ferrara steso in una vasca con Berlusconi e Dell'Utri che gli pisciano addosso, Previti che gli caca in bocca e la Santanché in completo sadomaso che li frusta tutti quanti - si sono inevitabilmente eccitati.


A questi happy few vorrei segnalare un film Family Affairs, di cui ho letto sul forum SuperZeta. Si tratta di una signora brasiliana, Rosana, la quale sopperisce all'assenza del marito con l'arrivo del postino; non perché si faccia il postino (sarebbe banale, e in Brasile non lo sono mai), ma perché costui le porta ben impacchettato un video scat (peraltro della stessa casa produttrice che ha prodotto il film in questione). Rosana si sistema sul letto, senza mutande ma col reggiseno, e guardando il film si masturba per un po'; finché irrompono nella camera sua figlia Latifa e la sua amichetta Tatthy. Le due giovincelle si scandalizzano nel trovare la rispettabile Rosana tutta immersa nella visione di una zozzeria del genere; la madre si arrabbia non poco perché Latifa e Tatthy sono entrate senza bussare.


Come punizione e premio al contempo non solo le coinvolge in una dolce lesbicata a tre, ricca di baci, ma le fa anche pisciare in adeguati bicchieri che poi servono per un successivo brindisi. Poiché tuttavia i bicchieri sono un retaggio borghese e in Brasile governa Lula (Partido do Trabalho), Rosana decide di farsi pisciare addosso da Latifa e Tatthy, ovviamente ricambiando. I corpi nudi iniziano a sporcarsi, ma non abbastanza. Ciò avviene quando invece madre, figlia e amichetta prendono a fare la cacca sulla fica o sulla bocca l'una dell'altra. Deliziosa la scena in cui Rosana caca in bocca a Latifa e costei, per ovviare alla mollezza del prodotto, se la aggiusta sulle labbra con le dita. Da bongustai il gran finale nel quale, schifate dalla promiscuità del prodotto reciproco, le tre si liberano: Latifa si fa vomitare in faccia da Rosana, quindi in bocca da Tatthy e poi le due signorine vomitano insieme sul corpo nudo e pingue della madre sdraiata sul pavimento, che sorride abbracciandosi e se la gode molto più di quando aveva preso a masturbarsi guardando il video (che tuttavia continua a essere trasmesso dal televisore sullo sfondo, altra raffinatezza metanarrativa che ha fatto grande la letteratura sudamericana anche quando tratta argomenti più raffinati, si pensi a Jorge Amado o a Garcia Marquez).


Finisce con Latifa e Tatthy che baciano teneramente le guance della signora madre ben contenta, tutte e tre coperte di merda fino all'inverosimile. Corre voce che Latifa sia veramente la figlia di Rosana, e questo pettegolezzo (se confermato) non può che far correre un brivido di piacere lungo la schiena di ogni sadiano; quale io sono senza dubbio.


Poiché non si sa mai, preferisco non inserire il filmato incriminato, ma per chi vuole basta cliccare su questo link per vedere un trailer più che esaustivo. Io l'ho visto tre volte. La prima ero schifato, la seconda incuriosito, alla terza sono venuto.

mercoledì 12 dicembre 2007

Ricominciamo

Dunque. Avrete notato che siamo diventati rossi. Avrete anche notato che siamo stati assenti per un bel pezzo, e che nell'ultimo periodo c'erano stati degli interventi incongrui, filmati a casaccio senza una parola di commento, enigmatici post completamente vuoti, titoli "Prova tecnica" che preludevano al testo "prova tecnica". Ce ne scusiamo e ce ne vergogniamo, sperando nel vostro perdono (tanto più che siamo tutti cattolici, qui).

Il fatto è che io, Diavolo, sono stato impegnato fino all'inverosimile in una serie di faccende che avrebbero fatto passare la voglia a Re Salomone (il quale, incidentalmente, godeva di settecento mogli e trecento concubine); ciò nondimeno la voglia non m'è passata, mi è solo mancato il tempo di parlarne.

Acquasanta, nel frattempo, ha fatto delle cose da donna che l'hanno distolta oltremodo. Non si accettano domande per chiarimenti.

In più, come se non bastasse, il sito ha iniziato a fare i capricci e a non pubblicare arbitrariamente filmati o testi, senza tenere in alcun conto la nostra volontà. La tentazione è stata quella di mollare tutto, lo ammettiamo.

Ma noi siamo cattolici e non cediamo così facilmente alle tentazioni. Pertanto il blog è risorto e, di fronte alla nostra ritrovata verve, è arrossito. Speriamo di far arrossire anche voi, quanto prima.

(Un ringraziamento fra parentesi. Nel momento di sconforto seguito alla presa di posizione del sito, meno ragionevole di un blocco dei tir, sono stato convinto a ricominciare dai reiterati complimenti di un amico che lavora come cameraman per una nota casa produttrice di film porno. Beato lui. Gli ho chiesto chi fosse la sua preferita delle varie donnine che aveva avuto l'onore di eternare su pellicola, e mi ha risposto che senza dubbio la più simpatica, la più gentile, la più carina e la più arrapante è la sempre sorridente Jasmine Tame. Con una sua foto benaugurante, e sempre sorridente, ricominciamo.)


giovedì 18 ottobre 2007

Olivia Del Rio, franco-brasiliana



Ci sono donne che conservano sempre una certa eleganza, ed è questo che le distingue da un panorama di buchi altrimenti tutti uguali. Una delle cose di cui sono più convinto è che, se le donne volgari, in circostanze raffinate, restano indubbiamente volgari, alla stessa maniera le donne raffinate, infilate nella circostanza più volgare che si possa immaginare, riescono a restare raffinate. Dalla tarda adolescenza (che per certi versi dura tuttora) adoro Olivia Del Rio proprio per questo motivo: non ha solo lineamenti nobili e forme attraenti, ché son buone tutte; ha la capacità di provvedere con gusto a ciò che ogni uomo sogna, qui ad esempio succhiare l'impegnativo cazzo di Bob Malone, senza per questo perdere un briciolo della sua eleganza.
Anzi, fissandolo (e fissandoci) negli occhi con estrema dignità al momento di inghiottirlo, leccarlo con sfrontatezza da collegiale e infilargli il preservativo con maestria da gran signora delle lenzuola, poi sdraiarsi a cosce aperte e farsi scopare supina non mancando di farci notare la sua estrema proprietà nella scelta delle scarpe più adatte.
Dopo di che, finalmente riversa e inculata, la posizione pecorina non inficia la sua capacità di divaricarsi le chiappe con le unghie perfettamente smaltate e il più classico dei monili al polso.
Ragion per cui la copiosa sborrata di Bob Malone, che giocoforza coincide con la nostra, indubbiamente le sporca la pelle e ne ottura i pertugi, ma non per questo la triplice sequenza può nascondere la consumata abilità con cui Olivia muta la propria espressione (in favore di fotocamera benché in secondo piano) dapprima in concitata concentrazione, quindi in visibile sollievo, alfine in urlata soddisfazione. Senza mai nemmeno spettinarsi, e pronta a tornare perfetta dopo mezzo bidet, impeccabile, sovrumana, camminando a mezz'altezza.




sabato 13 ottobre 2007

A me mi piace

Per rendere giustizia a "The Order", alle sue pretese e ai suoi giochi di luce, ma soprattutto perché guardare un altro po' di Roberta Missoni non fa mai male anzi, ecco il trailer soft messo gentilmente a disposizione dalla casa produttrice, la Pink'O Enterprise:


Però bisogna dire che il trailer serve solo a rendere un po' l'atmosfera, mentre per rendersi conto di quel che dicevo ieri, ossia dell'incredibile carica erotica e della maldestra eleganza di Roberta, e soprattutto della sua capacità innata di essere intimamente porno anche quand'è vestita di tutto punto, fatta salva la scollatura abissale, può essere sufficiente il minutino abbondante dedicato alla cena romantica, che per la prima volta nella mia vita mi ha fatto venire desiderando di essere una ciliegia:





Infine, poiché voi come me altro non siete che maniaci sessuali alla continua e piuttosto frustrante ricerca di carne nuda, ecco la scena della foresta all'inizio della quale (state pronti!) è possibile veder baluginare tutta la pelle di Roberta Missoni, con le sue (due) meravigliose tette in controluce. Buon divertimento e spero che vi venga la voglia di vedere tutto il film (oltre che di sposare Roberta)!


venerdì 12 ottobre 2007

Pornographia more geometrico demonstrata

Sia chiaro che io Roberta Missoni la adoro, come avrete notato dai post che le ho dedicato in precedenza (non ho voglia di linkarli, cercateveli da soli, sarà una piacevole sorpresa). Quindi l’altro giorno ero a *** e ho notato che nell’unico cinema porno, del quale peraltro sono un affezionato cliente, davano il suo ultimo film, “The Order”, ovviamente mi sono precipitato a vederlo.
Lei è stupenda. Ha un seno fantastico, immenso, materno. Ha la faccia da ragazza della porta accanto. Ha quel non saper recitare che distingue le attrici porno dalla volgare massa di attrici normali, e che costituisce un valore aggiunto proprio perché, vedendola così imbarazzata nelle scene di dialogo, sai che nelle scene di sesso non sta recitando proprio perché non sa farlo e non può farlo, così è tutto più vero. Però il film ha delle pecche. Ha un’ottima fotografia, ad esempio, che in momenti di distrazione può farlo sembrare un film normale. Ha la pretesa di una trama complessa. Certo, questi dubbi vengono meno nel momento in cui Roberta Missoni si spoglia, in cui si fa leccare la fica dal suo lui o da delle passanti (è un film per coppie, quindi c’è una smodata attenzione al cunnilinguo), e in cui fa dei soavi pompini sempre però lasciando intuire che non è il suo mestiere: è un’attrice soft prestata all’hard, si vede benissimo, e quindi a maggior ragione si apprezza lo sforzo di ficcarselo in bocca o di farsi inculare. La scopata tradizionale, invece, le riesce naturalissima, visto che in fin dei conti ha la faccia di una fidanzatina e interpreta una fidanzatina, e le fidanzatine sono fatte per scopare. Tutto torna.
Però, però, però. Non l’avrei mai detto ma alla lunga mi sono annoiato; paradossalmente mi eccitavo molto di più vedendo l’immagine enorme e semovente di Roberta Missoni che camminava per la strada, vestita di tutto punto (gonna corta, ci mancherebbe, camicetta scollata, ci mancherebbe – ma vestita). Poi quando arrivava al sesso un po’ era stancante. Soprattutto quando lei non c’era o quando non era al centro dell’attenzione o quando il regista o la casa produttrice preferivano concentrarsi su quanto fossero fiche la disposizione delle luci e la fotografia e il director’s cut e l’anima della mamma, invece di mostrare incontestabilmente al mondo la ragione per cui il film aveva Roberta Missoni come protagonista: ossia quant’è fica Roberta Missoni e basta.
Ragion per cui, approfittando che a *** c’è un solo cinema porno ma almeno è multisala (con biglietto unico!), mi sono spostato dalla sala 2 alla sala 3, dove trasmettevano un normale film che prevedeva:
- un attore muscoloso che chiameremo A
- un’attrice tettona mora, sorella di A
- un altro attore muscoloso che chiameremo B
- un’attrice tettona bionda, sorella di B.

Le luci erano sparatissime, c’era continuamente il sole, gli attori recitavano (fino a un certo punto) perennemente in costume da bagno (mutandoni i maschi, striminziti bikini le femmine), e si respirava il discreto ottimismo che i film porno devono imporre a una platea di uomini stanchi, delusi, traviati quale io sono senza dubbio. La trama era elementare e geometrica come si conviene: il muscoloso A viene mollato dalla fidanzata, dopo averla scopata a dovere nella prima scena, e riceve la visita di sua sorella; non scopano ma vanno a pranzo fuori; incontrano B e sua sorella che, nonostante il ristorante sia vuoto, vengono sistemati al loro stesso tavolo per mancanza di spazio. B e sorella di A si piacciono; A e sorella di B litigano. Ciò nondimeno vanno a passeggio e sorella di B spiega ad A che è scontrosa perché mollata dal marito (flashback dell’ultima epica scopata). Nel frattempo sorella di A sta raccontando a B, con annesso flashback filmato, che il suo ragazzo l’aveva tradita con la sua migliore amica; B risponde a sorella di A spiegandole con altrettante esplicite immagini che sua moglie l’aveva tradito con il marito della sorella (tutto torna). Così che B e sorella di A si innamorano e lui la stringe a sé toccandole le tette. Nel frattempo però sono spariti A e sorella di B. Che fine avranno fatto? B e sorella di A si preoccupano, li cercano, e li trovano impegnati a un passionalissimo pompino. Per nulla scomponendosi, B chiede a sorella di A se le va di unirsi. Così che mentre sorella di B sale sul cazzo di A, B si fa fare un pompino da sorella di A. Si provano varie combinazioni e le coppie vengono rotte solo quando B non resiste e, vedendo sua sorella prona sul cazzo enorme di A, non resiste e le sale sopra da dietro per incularla. Né sorella di B, inculata, né sorella di A, che persiste nel leccare le palle a B, sono contrariati dalla mossa infingarda. Finisce che tutti vengono e anch’io sborro nel fazzoletto gentilmente porto da uno sconosciuto che aveva voluto seguire il film al mio fianco, senza che me ne accorgessi tutto preso com’ero e felice per l’ordine geometrico e per l’amor che move il sole e l’altre stelle e per l’infinita vanità del tutto.

(Nel frattempo, ecco la mitica puntata de "I Soliti Ignoti" a cui ha partecipato Roberta Missoni)


giovedì 27 settembre 2007

La perfezione che è di questa terra

Allora, notizia imprecisa del giorno: pare che i ricercatori di non so quale università abbiano deciso che il seno perfetto appartenga a non so quale modella, Caprice qualcos'altro, che non si leva mai il reggiseno. Forse appunto per questo il suo è, perfetto quantunque, un seno. Non so se siano perfette anche loro (penso di sì), ma ai ricercatori di questa fantomatica università consiglierei di dare un'occhiata non al seno ma alle tette di Hannah Hilton, che fino a ieri non conoscevo e della quale posto qualche esempio significativo (e, mi raccomando, come sempre mani ben visibili sulla tastiera):







lunedì 24 settembre 2007

Favoletta per Claudia

[Ormai siamo all’erotismo on demand: Claudia è giovane, Claudia è bisex, Claudia ha un feticismo tutto suo per il solletico; e mi ha chiesto una storiella della buonanotte tutta per lei. Eccola qui:]

Ecco cosa si guadagna a fare gli occhi dolci alle sconosciute un po’ tardone in gelateria, attendendo il momento in cui, sole solette, prima si spostano febbrilmente tutt’intorno con la scusa di controllare quali gusti ci sono, poi vi passano da dietro avendo cura di strusciare lievemente il l’abito scollato e il seno contro la vostra schiena e lasciandovi percepire, mentre l’innocente gelataia vi mette fra le mani il cono che avete ordinato, un brivido che non è ancora piacere e non è più solo pizzicore… Ecco cosa si guadagna a uscire dalla gelateria e aspettare l’arrivo della tardona che si va a sedere su una panchina poco lontana e inizia a leccare il gelato con l’aria inequivocabile di chi non aspetta altro che si attacchi discorso con lei e che, una volta che l’ingenuo (io nella fattispecie) s’è avvicinato, lo invita a mangiare il cono mentre la si accompagna a casa.

Si guadagna, ed è la situazione in cui sono ora, di trovarsi completamente nudo e indifeso con le mani legate a una corda che pende dal soffitto, e l’erezione che non accenna a diminuire mentre aspetto la tardona che da una decina di minuti mi ha abbandonato lì dicendo che andava a cambiarsi d’abito. Eccola che torna. Ha addosso una camicetta di lattice rossa, ancora più scollata dell’abito che mi aveva passato sulla schiena in gelateria, e degli shorts neri che la lasciano scoperta fino all’inguine. Sento che sta per succedermi qualcosa di spiacevole, e sono comunque eccitatissimo.

La tardona mi passa vicino, allunga un braccio e mi passa un dito sul petto. “Adesso ti faccio vedere io, tesoro.” Il dito descrive ghirigori sui miei peli. È un contatto minimo che mi sconvolge più di un rapporto completo, col sudore e le urla e tutto. Solo un polpastrello, solo un’unghia, che scende lentamente verso il mio stomaco. Mi viene da ridere, fa il solletico.

Ma la tardona se ne accorge e si ferma. Mi dice che non mi ha legato lì per farmi fare due risate e va a sedersi esattamente di fronte a me, a quattro-cinque metri di distanza, iniziando ritmicamente ad aprire e chiudere le gambe. Gli shorts coprono poco, molto poco. Le tette sembrano voler sbalzare via dalla scollatura. Le mie mani tendono la corda talmente tanto da iniziare a sentire dolore sul serio; ma più di tutto mi fa soffrire l’impronta psicologica lasciata dal suo dito irriverente sul mio petto.

“Vuoi farti anche lui, Claudia?” Di là dalla porta chiusa della stanza sento provenire un mugolio. “Sai, è un bel ragazzo, l’ho immobilizzato, è tutto nudo ed è in tiro.” Che sono in tiro non c’è dubbio, e il sospetto viene confermato anche dal mugolio più forte che sento arrivare di là dalla porta. “Ora vengo a prenderti, Claudia” Il mugolio si fa di protesta. “Niente se e niente ma, Claudia. Chi sbaglia paga, e tu hai sbagliato.”

La tardona esce di nuovo (avrei fatto meglio a non darle retta in gelateria, e a pensare solo al mio cono e all’innocente gelataia) e con uno strappo tento di liberarmi. Inutilmente. Meno di trenta secondi dopo la vedo comparire portando al guinzaglio (al guinzaglio!) una ragazza in reggiseno e perizoma dall’aria dolcissima e mite, imbavagliata, e nell’altra mano una piuma rossa. La ragazza (Claudia, presumo) carpona fino al centro della stanza, a media distanza dalla mia erezione, e la tardona le dà uno strattone col guinzaglio. “Vogliamo spiegare, Claudia, al nostro ospite le ragioni di questa bizzarra situazione?” Claudia annuisce muta. La tardona la avverte: “Guarda, ti tolgo il bavaglio solo per farti parlare di quello che sai. Non azzardarti a dire altro, se no vedi le corde intorno alle sue mani? Diventeranno dei bei braccialetti per le tue caviglie d’oro.”

Il bavaglio scende e Claudia inizia: “Sono al guinzaglio della mia padrona perché ho sbagliato. Ho sbagliato a credere che lei mi avesse preso in casa sua per altro che per pietà, e ho sbagliato a spiarla mentre torturava uno dei suoi tanti ragazzi rimorchiati a caso come te. Ho sbagliato ad attendere che la padrona si addormentasse e a lasciare un bigliettino dolce all’ultimo ragazzo che era lì al tuo posto. La padrona dice che mi sono comportata da bambinetta e che vado trattata da bambinetta.”

Eccolo dunque, il trattamento da bambinetta cui mai avrei pensato mentre ero in gelateria: la padrona avvicina la piuma al volto di Claudia e la passa sulle guance (Claudia si scansa), poi sulle labbra (Claudia sbuffa), poi sul naso (Claudia quasi starnutisce). E la stessa piuma finisce poi sulle piante dei piedi di Claudia, dove si trattiene per qualche lunghissimo secondo (Claudia si fa una risata), e poi risale sulle cosce e le solletica l’inguine (Claudia mugola), le accarezza la fichina (Claudia chiede pietà). La tardona si inginocchia dietro a Claudia e utilizza la piuma con leggiadra maestria, sembra che sia in grado di trasferire tutta la sua carica erotica nei pochi centimetri del suo dito sul mio petto, della piuma su tutto il corpo di Claudia, che ora si agita, sbuffa, si contorce, cerca di sfuggire alla sua aguzzina ma la tardona la trattiene, la tiene sempre a distanza di piuma, Claudia inizia a urlare come una bambinetta felice che giochi con la mamma, la piuma della tardona la tortura in ogni punto del suo corpo, che è tutto un vulcano erogeno, e io vorrei essere lì a guardarle da vicino, a quattro zampe anch’io, vorrei toccare, vorrei leccare, vorrei essere la piuma che conosce ogni segreto del corpo di Claudia…

Sento dello sperma che cola dalla mia erezione. Sento Claudia che ride senza controllo.

venerdì 21 settembre 2007

PocoPorno, ovvero La delusione eterna

L’estate è decisamente finita, ricominciamo da qui.

Ricominciamo dal fatto che ieri, scappato da una pizza con i colleghi e girando a mezzanotte per le strade ormai deserte di ***, ho deciso di entrare nel portone dove amici di amici di amici mi avevano riferito esserci un night club. Ah, mi avevano detto, per venti euro ti godi uno spettacolo erotico. Ah, più che erotico. Ah, per venti euro. E allora, che cosa sono venti euro di fronte all’eternità? Col favore delle tenebre sono entrato nel portone, ho salito le scale, ho mostrato un documento che comprovasse la mia maggiore età (non che ci siano dubbi, vedendomi, ma è la legge) e sono stato immesso nel salone blu del night.



Ora, la faccenda consisteva in una decina di divanetti con altrettanti tavolini e al centro un palo. Tre o quattro ragazze equamente divise fra slave e sudamericane ballavano, vestite di tutto punto, senza mai sollevare la gonna sopra la mezza coscia o senza mai scoprire distrattamente un seno. Macchè, senza mai far scivolare una spallina. Senza mai aprire le gambe. Nessuna ballava intorno al palo, che marciva nella propria inutilità d’acciaio.



Una carina, fra quelle che ballavano, c’era. Una slava che avrà avuto tutt’al più diciannove anni, tutta perfettina e ben vestita, che riproduceva sostanzialmente il movimento dello step. Ogni tanto, come concessione erotica (ah, più che erotica) si ripassava le mani sul gonnellino. Tutto lì.
C’era anche qualche altra ragazza che non ballava, ma restava seduta nella seconda metà del salone, non su divanetti ma su delle sedie. Alcune sbuffano, altre parlottano fra di loro. La meno ragazza di tutte, dal grasso trasbordante, prende coraggio e mi si avvicina per chiedermi se le offro da bere: particolare non trascurabile, c’erano quindici ragazze e cinque clienti, dei quali io ero l’unico italiano nonché ovviamente il più giovane (e, penso di poterci giurare, il più porco, il più pervertito e al contempo quello col senso di colpa più sviluppato). La rimando via dopo averle fatto promesse vaghe per un futuro destinato a non arrivare giammai.


Il maitre, l’unico uomo del circondario a indossare giacca e cravatta, capisce l’antifona e mi si avvicina. Si siede di fianco. Per un nanosecondo pavento la sodomia. Invece mi chiede se so come funziona e, nonostante io sicuro risponda di sì, me lo spiega. Posso scegliere una ragazza a piacimento e offrirle da bere: venti euro tutto incluso per venti minuti. Poi, se la ragazza ha piacere, ci si può mettere d’accordo con lei per ordinare una bottiglia di champagne (cento euro) e bersela nel separè. Ciò che accade nel separè non è faccenda che riguardi né il maitre né il night.


Il tempo stringe, s’è fatta l’una e un quarto e le ragazze sono talmente tante che bisogna prenderne una per non sembrare maleducati. Vorrei la slava diciannovenne ma mi sembra fredda freddissima, allora scelgo una colombiana (me lo dirà dopo, che era colombiana) dal vestito a fiori e dall’ampia e generosa scollatura. Il maitre ci porta una birra (io) e un succo di pera (lei) e ci conduce nella seconda metà del salone, riservata alle coppie. La colombiana mi dice di chiederle quello che voglio. Le chiedo qual è la cosa più eccitante che ha fatto con un uomo. Dice che non può rispondermi. Le chiedo da dove viene. La colombiana risponde che viene dalla Colombia, com’era piuttosto prevedibile. I venti minuti rischiano di trascinarsi nella tessa noia mortale che si prova ogniqualvolta si esce, che ne so, con una mia collega più o meno innamorata. O con chiunque altra, grossomodo. Per vivacizzare, le allungo le mani sulle ginocchia. Mi lascia fare. Risalgo sulla coscia. Mi lascia fare. Cerco di sollevarle impercettibilmente il lembo della gonna. Non mi lascia più fare. Ritorno a parlare e le chiedo che lavoro faceva in Colombia. Mi risponde con un dettagliato resoconto sulla vita delle operaie tessili. La intervallo accarezzandole la guancia. Mi lascia fare. Scendo sul seno. Non mi lascia fare, anzi, non dovrebbe lasciarmi fare: ma sono sufficientemente veloce e scaltro da darle una strizzatina e conservare il ricordo sul palmo. Poi chiamo il maitre e gli dico che venti minuti mi bastano, non ho intenzione di rinnovarli né di ordinare dello champagne per portarmela nel separè. La colombiana torna al suo posto, senza dire né a né ba. Il maitre accetta il pagamento, mi congeda e io, alleggerito dai venti euro, scendo le scale.

Dalla tenda leggermente sollevata di un separè riscontro le scarpe di un cliente che si affannano dietro ai sandaletti di una signorina che dieci minuti prima, al piano di sopra, ballava poco volentieri. Torno a casa e vado a dormire, ma non ci riesco. Mi alzo dal letto, vado in bagno e mi masturbo pensando alle tette della colombiana. Vengo pensando agli anonimi sandaletti, però.

lunedì 16 luglio 2007

Altro che Agatha Christie!

Dovete sapere che stamattina sono capitato per caso sul sito della scrittrice Isabella Santacroce e che di conseguenza, da allora, sono in erezione per lei, che è così:




lunedì 9 luglio 2007

Ora di cena

Rompo il mio silenzio (d'altronde è estate, e chi ci legge più?) per raccontare una cosetta che è accaduta, sono sicuro, non solo a me ma ad almeno cinquecentomila miei coetanei sparsi per l'Italia. Premetto che la tv non la guardo (quasi) mai, ma che non posso sfuggire dalla visione durante la cena quando sono ospite dai miei, come sabato sera. Allora cosa succede? Mentre viene servito il secondo e stancamente scorrono le immagini di una trasmissione condotta da Fabrizio Frizzi in cui bisogna indovinare il mestiere di una dozzina di persone che possono soltanto dire il proprio nome, ho un primo sussulto perché fra le alternative di scelta c'è "fa film hard". E vabbe', fin qui - ormai il porno è sdoganato anche in prima serata su Rai1, ma pazienza, noi pornomani moralisti non possiamo neanche lamentarci.

Io e i miei, tanto per fare qualcosa, ci mettiamo a indovinare i mestieri delle facce, sbagliandoli uno dietro l'altro. Se non che a un certo punto, fra un oncologo e un grattachecchiere, viene il turno di - oddio, viene il turno di Roberta Missoni. Che, da quando ha iniziato a filmare, sta minacciosamente insidiando Asia d'Argento come mia pornostar italiana preferita. E che, maliziosamente, si presenta col nome anagrafico: "Floriana Panella", dice. Io sono combattuto ma non resisto alla tentazione: "Secondo me", deglutisco, "questa fa film hard". Macché, dice mia madre, secondo me fa il barbiere. Mio padre non sa/non risponde. Io insisto: "Secondo me l'hanno vestita tutta castigata propio per sviare. Quindi fa film hard." Mia madre mi guarda severamente, e io aggiungo incongruo: "Oppure vende grano."

La trasmissione prosegue, la cena finisce e giusto prima dei titoli di coda Floriana Panella dichiara di girare film hard col nome d'arte di Roberta Missoni. La scoperta dell'America, eh? Per fortuna mio padre è uscito, mia madre cambia canale e io non ho la necessità di spiegare quanto familiare mi fosse il volto (be', non solo il volto) di Roberta Missoni, e quanta sborra ho sprecato a guardare, ad esempio, queste due fotine:


domenica 24 giugno 2007

In libreria (ma si', dai... in libreria)

Mi pareva una buona idea cercare spunti per la mia tesina su un manuale specializzato. Anche se è una tesina sul romanzo erotico. Ma si sa, l'autore esagera sempre. E poi mica parla per sua esperienza diretta. Immagina. Fantastica. Prende una piccola parte di realtà, una cosetta insignificante e poi la ingigantisce. La romanza. Appunto. Sennò mica si chiamerebbero romanzi. Si chiamerebbero cronache. O manuali. ecco. E io adesso ho bisogno di un manuale. Sui pompini. Insomma, qualcosina di un po' più specifico di Anais Nin. Anatomia del cazzo, per cominciare. Vediamo se trovo qualcosa.

Oh, ti pareva. Una si siede tranquilla a sfogliarsi un libro in santa pace ed esce fuori il cretino di turno. Anzi, i cretini. Ehi, vi ho visto, inutile che vi allontaniate facendo gli indifferenti. Anche te, carciofo con gli occhiali, proprio tu che mi stai gironzolando intorno. Che fai? Sbirci? Ebbene sì, sono foto che illustrano come fare una fellatio. Interessa? Scommetto di sì, a vedere come sei imbranato. E posa quello stupido libro sul sesso anale nella filmografia anni settanta... sei ridicolo. Non riesci nemmeno ad attaccare bottone.


Adesso mi alzo. Voglio proprio vedere cosa fai. Oddio, che occhioni da cane bastonato. Ma che fai? Vuoi pure consigliarmi un libro, adesso? Il primo che ti capita a tiro dandomi ad intendere che lo hai riconosciuto al tatto, eh? Bene, se vuoi giocare allora giochiamo pure.


"Questo...questo è particolamente buono, mi pare".
"Lo conosco, grazie".

Mi giro verso lo scaffale. Uh, il "Il caso dell'orgasmo femminile" della Lloyd! Quasi quasi lo prendo.


E tu? Te ne vai adesso o vuoi continuare a stare in mezzo alle scatole con quell'album delle figurine in mano? Tutto intento a sbirciare tette, guardalo là. E sei pure arrapato, si vede da come ti si sono gonfiati i pantaloni. Scommetto che ti sei eccitato a vedere che mi sfogliavo le sequenze per la fellatio perfetta. Pagherei per toglierti di dosso quell'aria sussiegosa e ingessata - ihihihi...ingessata, proprio! Chissà che faccia faresti se ti sbottonassi i pantaloni e te lo tirassi fuori adesso, in questo angolo nascosto ma non troppo. Perchè potrei farlo sai? Anzi, sai che c'è? Adesso lo faccio.


E così mi giro di nuovo, ti guardo, ti porgo il volume che ho in mano ("me lo tieni un attimo, per favore?"), mi inginocchio, ti sbottono la patta, lo tiro fuori dagli slip (ma per favore, vogliamo imparare che esistono i boxer e gli slip sono da vecchi?) e profuma di maschio pulito, innanzitutto. Questa è una bella sorpresa. E' di onorevoli dimensioni. E' bello duro. E tu non sei per nulla spaventato.


Mi fai prendere il cazzo in mano, poi fra le labbra; mi dai il ritmo prendendomi per i capelli, ma con delicatezza. Quando comincio a pomparti per bene ti appoggi allo scaffale, ansimando appena. Mi sembra che duri un'eternità, ma saranno cinque minuti che ti ho in bocca, non di più. Un attimo prima di venire mi guardi interrogativamente: ingoio o non ingoio? E io in risposta accelero e succhio e ingoio. Hai un buon sapore. Poi mi alzo, ti lascio un bacio leggero su una guancia mentre riprendo il mio volume ("grazie per avermi tenuto il libro", "di nulla, ma ti pare") e me ne vado nel reparto sport a cercare il mio ragazzo.

Io sono rimasta con la voglia di cazzo, però. Il tuo. Ma oramai, dove ti ritrovo? E no, non hai fatto per niente la figura del coglione, sai?

venerdì 8 giugno 2007

Per Antonio

Quella sera ci siamo incontrati per la prima volta. Presentati. Stretti la mano. Un viso simpatico, mi sono detta. Per favore, fa' che almeno abbia un viso simpatico e sorridente, che devo fare questa esperienza o scoppio e non potrei sopportare scocciature. Hai un bel sorriso. Ispiri fiducia. Mi guardi la scollatura oltre il golfino. Bene. Cominciamo bene. Più tardi confesserai che stavi valutando quanti strati di vestiti potessi avere addosso.


So che mi stai soppesando con lo sguardo. Ti stai domandando cosa verrà fuori da questa serata. Io lo so. Quello che non so è il quando e il come. Conversiamo del più e del meno. Lavoro, amicizie, aneddoti: spalmiamo un leggero strato di vernice sociale, così, per non essere dei perfetti sconosciuti. Ti faccio camminare. Parliamo, parliamo, parliamo.


Ci fermiamo davanti alla vetrina di una galleria d'arte. Ti attira (?) un dipinto erotico, per nulla allusivo, una donna seminuda a cosce aperte che guarda sfrontata il suo interlocutore. Sono imbarazzata e quando dichiari che ti eccita e mi guardi diritta negli occhi, mi allontano. Non sono brava negli approcci, nel decifrare segnali, nel cogliere appigli; mi trovo a disagio nei balletti di corteggiamento. Posso solo andare alla meta, diretta, lasciando da parte le infiocchettature.


Passeggiamo ancora. Rifiuto ogni offerta di fermarci a bere qualcosa. Se deve succedere, voglio che succeda presto, senza sprechi di tempo.


Ci fermiamo in un punto particolarmente panoramico. Pioviggina e apro il mio minuscolo ombrellino . Ti avvicini e mi prendi a braccetto mentre chiacchiero a vanvera sul duomo e la sua architettura gotica e poi non ce la fai più e mi baci. Mi metti la lingua in bocca ed è più un assalto che un bacio.


Ecco. Ora è tutto più chiaro.


Vorresti toccarmi un seno, ma non è il posto adatto. Rispondo al tuo bacio ma mi sento strana, irreale, come se non stessi facendo quello che sto facendo. Tu stesso sei strano, un alieno, ma dove ti ho pescato? Non ti conosco. Mi dico che è normale, che devo solo rilassarmi.


Camminiamo veloci verso il parcheggio. Via la patina di socialità, via le chiacchiere, vuoi solo un posto dove baciarmi in pace, dici. Saliamo sulla tua auto e mi metti le mani sotto il golfino, sei impaziente. Ti chiedo di andare da un'altra parte, non mi sento sicura. Parti sgommando, paghi il parcheggio e ti dirigi fuori città, verso la campagna. Ci fermiamo su una stradina laterale. E' buio pesto, appena un po' di luna fra le nuvole, lasci accese solo le luci del cruscotto.


Così mi sento più a mio agio. Non puoi vedermi in viso, non puoi capire se arrossisco.


Ci baciamo. Mi tocchi il seno sotto la maglietta, sento che sospiri. Non mi lasci la lingua, mi stringi i capezzoli e mi fai quasi male, non riesci a dosare la forza. Mi slacci il reggiseno e mi prendi entrambe le mammelle fra le mani, mi stuzzichi con i pollici e adesso sospiro io. Mi faccio coraggio e ti tocco attraverso la stoffa dei pantaloni. Sei di granito. Slaccio la cintura, abbasso la zip e lo tiro fuori. E' tutto nuovo e strano e tuttavia familiare. Mi proponi di andare sul sedile di dietro.


Ti togli i calzoni e i boxer e lo prendo in bocca. Così, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non facessi altro da una vita. Proprio io. Lo lecco, lo succhio, lo tocco. Sto imparando e mi muovo più con l'intento di apprendere che con il desiderio di farti godere. Ad un certo punto mi fermi e prendi un fazzoletto, sei imbarazzato. Ti pulisci, sei venuto e non sai se mi piace ingoiare. Non lo so neanche io, ma di sicuro avrei provato e te lo dico.


Parliamo un po', poi mi guardi in modo nuovo. E' desiderio. Dio, che bello, è la prima volta che vedo uno sguardo così. Plateale e limpido. Ci spogliamo senza dire una parola, in fretta e urtandoci di continuo per via dello spazio esiguo. In un attimo mi sei sopra e non faccio a tempo a dire che non so se me la sento di avere un rapporto completo e tu a rispondermi che ti fermerai se non voglio, che già mi sei dentro, già ti ho tirato dentro.


Ti fermi, mi guardi. Sono distesa sul sedile, i capelli sciolti e sparsi, e nel cono di luce della luna mi sento assolutamente scoperta e vulnerabile. Ma non me ne importa nulla, ho il tuo cazzo dentro e voglio sentire, voglio sentire bene. Ti muovi e gemo ad ogni spinta. Non sono mai stata così viva. Mi guardi godere, ansimare, cercare di muovermi e assecondarti. Ti imploro di spingere, di spingermelo dentro sempre di più, di farmelo sentire bene. Mi eccita sentirti mugolare, il tuo odore - odore di sesso e di pulito - mi piace, mi piace da morire. Ti guardo venire una seconda volta, hai gli occhi chiusi, ridotti a due fessure, e un'espressione di piacere intenso sul viso. Sono io che ti sto dando tutto questo godimento, vero? Non l'avrei mai ritenuto possibile. Non senza amore, non senza un po' di sentimento o un pizzico di affetto. O al limite una vaga conoscenza.

Ti accucci sopra di me e cerchi di riprendere fiato. Mi riempi il viso di piccoli baci, mi guardi e mi dici che sono davvero una bimba, così giovane. Che sono bellissima. Ti sento battere il cuore. Sono curiosa di ogni tua espressione, di ogni gesto.

E poi ti zittisci e mi guardi di nuovo in quel modo così particolare e vuoi ricominciare tutto: i baci, le lingue che si succhiano, le dita dentro la fica e nel culo, il cazzo di nuovo dentro di me, le tue spinte, i tuoi ululati di piacere, i miei gemiti che poi diventano urli, le tue mani conficcate sui fianchi a tirarmi sempre più vicino, la cappella gonfia che struscia contro le mie pareti e la sensazione di essere desiderata, desiderabile, l'unica donna che ti tira il cazzo da morire, come mi hai detto una volta.

Avresti continuato all'infinito, lo so. E io con te. Ma scopare e basta non è sufficiente, alla lunga.

Ciao Antonio.

Yogurt

Io credo che la pornografia mi piaccia - e che piaccia in generale - perché si colloca sul crinale di uno scarto; perché parte da presupposti normali e quotidiani e li sviluppa scegliendo sempre, immancabilmente, la possibilità che nella vita reale viene il più delle volte esclusa, o trascurata; perché così trasforma una qualsiasi bella ragazza nella meravigliosa Selen grazie a un'enorme coppa di yogurt e a un cameriere che si trova a passare senza mutande.

giovedì 7 giugno 2007

In libreria (sì, in libreria)

Per anni mi sono masturbato a sangue sulla sola idea che una donna potesse non dico eccitarsi oltremodo ma anche soltanto interessarsi alla visione di immagini erotiche o più o meno esplicitamente pornografiche – per anni avevo immaginato che la possibilità che uno sguardo femminile potesse prima o poi posarsi sulla pagina (o sul fotogramma) che in quello stesso momento mi sembrava creato al solo scopo di eccitarmi lo dotasse di un valore aggiunto che mi costringeva ad allungare una mano verso il (mio) cavallo dei pantaloni. Per anni qualsiasi porcheria – il più raffinato romanzo erotico come il più stilizzato fumetto porno come il più abusato dvd hard come il più recondito cinemino nascosto – è diventata il sottofondo più o meno latente di ogni mio rapporto e, temo, la causa della rottura di più di un fidanzamento, o anche soltanto un deterrente alla conquista, nel momento stesso in cui mi rendevo conto che, ecco, la signorina che avevo davanti non si sarebbe mai abbassata a slacciarmi i pantaloni davanti a – che ne so – “Corna Vissute” o “Slap Happy Pappy #34”.
Questo, per anni. Poi, com’è noto, ci si rassegna e ci si accontenta di essere un navigatore solitario, di notte davanti allo schermo bluastro del computer, oppure nel primo pomeriggio nelle strade di periferia, o di fronte all’edicola più lontana da casa, o nel settore erotico che immancabilmente, in ogni libreria, divide il settore cucina dal settore autoconsapevolezza. E proprio in una delle interminabili mattinate finite con la fuga in libreria, dove sempre ho sognato di essere in grado di attaccare discorso, foss’anche per dire a qualcuna che il romanzo che stava sfogliando dubbiosa io l’avevo letto, e mi era piaciuto, o che era opera dello scrittore più stronzo del mondo, o che a metà prezzo avrebbe potuto trovare un’edizione perfino più maneggevole – dicevo, in una delle fughe mattutine in libreria, quando frustrato oltremodo dalla mia incapacità di dare mezzo suggerimento a una sconosciuta (aggiungendo subito dopo che non venivo pagato né dall’autore né dall’editore) finivo inevitabilmente a mezza strada fra il settore cucina e il settore dell’autoconsapevolezza, dove fingevo di sbirciare “Mangiare sano senza rinunce” o “Perché lui guadagna più di me ed è più cretino?” salvo poi, non appena la folla si diradava, fiondarmi su “Il Grande Libro del Seno” o su “Casa Howhard” (ce l’avete presente? è quella serie-capolavoro a fumetti in cui Baldazzini immagina una squadriglia di ragazze snelle, dalle tette enormi e senza fica ma col cazzo, non per questo tuttavia meno femminili di tante che si incontrano per strada e sono senza cazzo ma con la fica) o peggio ancora su tutta quella serie di romanzi tutti uguali nella copertina, nel layout, nei contenuti e nel piattume dello stile che altro non fanno che replicare parossisticamente le stesse variazioni d’amplesso con lo stesso lessico bolso, e che mi eccitano da morire – dicevo proprio in una di quelle interminabili mattine (interminabili come il mio periodare, d’altronde) quando afflitto da ogni male mi sono diretto senza indugio verso l’esercito di libri tutti uguali che ho visto.
Ho visto una ragazza, non avrà avuto più di ventitre anni, seduta per terra come una bambina nel reparto al piano di sotto, che compulsava un volume del tipo “Come farlo impazzire a letto”, anche se ovviamente non ero riuscito a controllare il titolo, ma lo stile era quello. Non ero l’unico che aveva visto, ovviamente, e i vari ometti (devo riconoscere, tutti più anziani e più bruttarelli di me) che come me si rifugiavano nello stesso settore che non era più di cucina e non era ancora di autoconsapevolezza avevano visto anche loro, si erano stupiti ma, con mia somma sorpresa, invece di avvicinarsi si allontanavano guardinghi. Dunque era lì, mi sono detto, il mio sogno erotico? Una ventitreenne né bella né brutta, vestita come qualsiasi ragazza si possa incontrare per strada senza giudicarla male, seduta per terra come una bambina e tutta intenta a scrutare la riproduzione fotografica seriale delle varie tappe di un pompino ben fatto? Tutto qua?
Non ho potuto fare a meno, e mi sono avvicinato; ma ancora ero timido e soprattutto la ragazza mi rivolgeva le spalle, così che ho iniziato a far scorrere l’indice sulla fila di libri fotografici (forse temendo che lei avesse gli occhi anche dietro la nuca) mentre sbirciavo sopra le sue spalle e vedevo il procedere del pompino fotografato man mano che sfogliava il libro, una pagina dopo l’altra. Sentivo di star perdendo il controllo e di non essere pronto a far nulla. Per esserle più vicino mi sono accovacciato e ho preso in mano, con fare da intenditore, una guida pocket al sesso anale nella filmografia degli anni settanta (giuro che esiste) e l’ho sfogliata con l’aria annoiata di chi sa già tutto, ha già visto tutto, ha provato tutto. Poiché la ventitreenne, incantata sulla pagina dedicata all’eiaculazione, non dava segno di volersi muovere né di accorgersi della mia ingombrante presenza giusto dietro di lei, ho riservato lo stesso trattamento al volume gemello dedicato al sesso orale nella filmografia degli anni settanta (ricavandone che solo tempo dopo le attrici accettarono di farsi abitualmente sborrare in faccia senza per questo cessare di sorridere all’obiettivo, ma questo non è un blog storico, quindi lascio cadere l’argomento).
La ragazza ha posato immediatamente il volume che aveva e s’è immersa nella ricerca di un altro simile, forse migliore, esattamente come me facendo scorrere l’indice sui dorsi dei libri disposti sullo scaffale. Per farlo si era rialzata. Mi ero rialzato anch’io e non avevamo potuto non guardarci. Allora ho preso un libro a caso (giuro, a caso) dallo scaffale all’altezza del mio braccio destro e, senza nemmeno guardare la copertina, gliel’ho porto. Lei avrà creduto che l’avessi riconosciuto al tatto e mi ha guardato con aria interrogativa, senza fiatare. “Questo…”, ho deglutito, “questo…”, ho desiderato di essere già morto, “questo è particolarmente buono, mi pare.” Non ha reagito. O meglio, ha detto: “Lo conosco”, s’è rigirata e ha ricominciato la sua ricerca, immergendosi nuovamente in un coacervo di figure nude di donne e uomini. Allora non ho saputo cosa fare. Andarmene significava ammettere la sconfitta. Se se ne fosse andata lei, mi sarei sentito libero di fare quel che volevo. Invece lei è rimasta lì, proprio come se non ci fossi, e questo poteva significare tanto un invito a insistere, magari con un libro più porco di quello che avevo preso a casaccio (riponendolo l’ho guardato – era il solito rapporto sull’insoddisfazione maritale della classe media italiana, pieno di cifre e senza nemmeno un cazzo disegnato) oppure che effettivamente lei desiderava che – e di conseguenza si comportava come se – io non ci fossi e non ci fossi mai stato. Sono rimasto lì, mentre lei è rimasta lì, io a consolarmi con le tette enormi di una raccolta di foto di pinup dalle origini ai giorni nostri, lei a rimirarsi trionfante una specie di enciclopedia dell’orgasmo femminile: con la quale, dopo cinque minuti di ammirazione incondizionata e di mia ulteriore silente umiliazione, s’è girata e s’è diretta verso il suo, presumo, fidanzato, lasciandomi lì a pensare se in fin dei conti non sono solamente un povero coglione.

lunedì 4 giugno 2007

Asia d'Argento, sempre di più

Io preferisco sempre scrivere parole che postare foto, anche perché mi è stato fatto notare che foto porche si trovano un po' ovunque ma parole eccitanti mica tanto. D'altra parte non sono un distributore automatico, e soprattutto dopo ore e ore di lavorìo al computer m'è venuto il comprensibile istinto di perdere il tardo pomeriggio a innamorarmi di questa foto, trovata sul sito di Asia d'Argento e opera (d'arte) di Fernando Gallinelli (le altre le potete vedere qui):


Converrete che c'è tutto. Il fondo nero e misterioso. La sedia in vimini come Emanuelle. La pettinatura impeccabile. Lo sguardo cattivo e promettente al contempo. Il sorriso appena accennato. La spalla sinistra vezzosamente alzata. I tatuaggi più arrapanti che si possa immaginare. Il pizzo nero. Le calze a rete. Le gambe aperte senza che si veda nulla, ma facendo intuire tutto. E ovviamente le tette perfette di Asia, e ovviamente i capezzoli perfetti di Asia. E soprattutto il contrasto della loro morbida rotondità con la lunghezza delle unghie, dei rostri, degli artigli creati per graffiare e far sanguinare e far esplodere le carni.

venerdì 1 giugno 2007

Una birra insieme

“Sounds good!” – “Va bene!”. Il mio inglese è imbarazzante ma, da quando un paio di settimane fa una ragazza americana s’è trasferita a vivere al mio stesso pianerottolo, ho ritenuto che fosse il caso di ripigliare la grammatica, toglierle le ragnatele, e prepararmi un discorso verosimile (e comprensibile) per abbordarla non appena l’avessi incontrata da sola, ovviamente per caso… Così quando ieri ho aperto il portone nel momento stesso in cui lei stava entrando (giuro che non m’ero appostato), sono riuscito senza sforzo apparente a chiederla se era appena arrivata e se le andava che più tardi in serata salissi da lei con un paio di birre. Se non aveva niente da fare, ovvio. E lei non aveva niente da fare, e quindi tutta contenta risponde: “Sounds good!”.
Tutta contenta come solo le americane sanno essere. Brittney (mi ha spiegato, dopo, che all’anagrafe la mamma l’ha scritto così, con la doppia t, quindi tanto per dire non come Britney Spears) viene da Atlanta (Georgia) e insomma – sarà pure leggermente tracagnotta, parlerà pure ad alta voce, vestirà in maniera surreale e si truccherà con estrema fantasia – però ha sempre il vantaggio di non essere una delle solite ragazze europee (e peggio ancora italiane) involute, self-obsessed (un’altra parola che mi ha insegnato lei), intellettuali e un po’ stronze. Se Brittney pensa una cosa, la dice; se prova un sentimento, lo esplicita; se le viene un’idea, ti chiede cosa ne pensi.
L’idea che le era venuta, ieri sera dopo mezz’ora di chiacchiere vuote, è stata quella di farsi scivolare un po’ di birra sulla maglietta e poi iniziare ad avvolgere con le labbra il collo della bottiglia di Carlsberg, lanciandomi uno sguardo inequivocabile e per giunta, temendo di non essersi spiegata, chiedendomi: “Che ne diresti di…”Forse perché ero troppo carico, forse perché da due settimane mi sveglio ogni mattina con un’erezione dedicata a lei, non me lo sono fatto dire due volte – anzi, non ho manco aspettato che finisse di parlare per tirare fuori dalla zip un’erezione più che decente. Ma lei ha riso, sorprendentemente, e mi ha porto la bottiglia. Allora ho capito. Gliel’ho svuotata addosso, mentre lei con la lingua protesa cercava di trattenere la birra che non le finiva sulla maglietta e, nel frattempo, ha aperto le gambe. Poiché quando l’avevo incontrata al portone indossava dei jeans, mentre ora aveva degli short piuttosto larghi e facili da scostare, ho capito che doveva essersi preparata per bene all’incontro, e averci pensato a lungo mentre io prendevo le birre. Quando la birra è finita ho avvicinato il collo della bottiglia alla sua fica, ubbidendole nel momento stesso in cui mi diceva di metterglielo dentro.
Dapprima mi sono contenuto, ho lasciato che la bottiglia la penetrasse gentilmente e solo parzialmente – in fin dei conti ero ospite di una persona con cui non avevo ancora tanta confidenza. Ma quando ha detto, senza mai smettere di sorridermi e di sembrare a perfetto agio, che voleva che mi impegnassi di più, ho fatto in modo che non solo il collo ma quasi tutta la bottiglia le sparisse dentro. Allora ha fatto una cosa che non mi sarei mai sognato: ha iniziato a grugnire. Sarà che era tracagnotta, ma la scena di lei che grugniva come un maiale, peraltro con un notevole talento, mi è parsa assurdamente eccitante e mi ha fatto risorgere l’erezione che la sua risata (e soprattutto il suo preferire una bottiglia al mio cazzo) aveva fatto calare. Lei allora, dicendomi di non fermarmi, s’è spostata quel tanto che bastava a consentirle di prendermi il cazzo in mano e avvicinarlo al suo collo ancora gocciolante di Carlsberg. Più agitavo la bottiglia dentro di lei, più lei col palmo della mano strofinava il cazzo sul suo collo: la posizione era scomodissima e per certi versi preoccupante, oltre che molto poco educata, e poi il mio inglese era ancora abbastanza imbarazzante da non consentirmi di capire cos’ha urlato dopo cinque minuti di quest’intensità. Qualcosa che aveva a vedere con me, Dio, la merda e il timore che perdessi la presa e facessi scivolare la bottiglia dentro di lei. Invece sono stato pronto e, nonostante i suoi sobbalzi, l’ho trattenuta e l’ho estratta; ma a vederla venir fuori tutta sporca non ho resistito e le sono venuto sul collo. Brittney ha riso. In dieci minuti avevamo combinato un macello incredibile, sul pavimento, e si sentiva distintamente l’odore di birra e di sborra mischiate assieme. Bisognava pulire, e mentre lei si raddrizzava gli shorts io mi sono avvicinato al bidone della spazzatura per buttare la mia bottiglia mezza piena e la sua, calda e vischiosa. Ma Brittney, con l’aria positiva che solo un’americana può avere costantemente, mi ha detto: “Quella non buttarla, voglio conservarla”; allora sono stato io ad esclamare: “Sounds good!” - “Va bene!”

giovedì 31 maggio 2007

Il medico delle donne

Mamma mi ha sempre raccomandato di essere gentile con le signore. Mamma mi ha sempre detto che una donna non si sfiora nemmeno con un fiore. Mamma mi ha spiegato tutto delle cose sporcaccione, di quelle cose che i maschi che non riescono a controllarsi vorrebbero fare alle brave ragazze. E mi ha fatto promettere di rispettare le brave ragazze e di evitare quelle che ci stavano prima del matrimonio, le cattive ragazze che non si sposeranno mai e rimarranno incinte, malate e sole. Io volevo bene alla mia mamma e le ho dato retta rimanendo signorino, stando in casa con lei, evitando le cattive ragazze e laureandomi con lode in medicina e chirurgia. Lei ne è stata così orgogliosa.

Ancora adesso che ho un mio studio e sono un affermato professionista ho presenti i suoi insegnamenti e faccio del mio meglio per essere gentile con le signore, delicato e pieno di premure. E a giudicare dal loro numero e dalla soddisfazione con cui mi frequentano e dall'assiduità con cui si presentano ai controlli, non posso che compiacermi.

Il sesso femminile è come un fiore, con petali e pistilli pronti ad aprirsi al primo raggio di sole che dia loro calore e luce. Trasuda miele odoroso, è deliziosamente morbido e accogliente, è un nido e un rifugio nello stesso tempo; ma questo io l'ho capito molto dopo, dopo che mamma è morta e io sono rimasto solo. E specializzarmi in ginecologia mi è sembrata l'unica maniera per onorare degnamente la sua memoria, sempre presente nei miei pensieri con le sue premurose raccomandazioni. Per non tradire i suoi insegnamenti, mi dedico esclusivamente alle signore sposate.


Io ho un dono. Le mie dita non visitano, ma sfiorano e accarezzano. Titillano. I miei strumenti medici non invadono nè violano ma indagano con delicatezza e, se necessario, penetrano con competente decisione. Certo, di primo acchito il mio modo di agire suscita perplessità. Ho udito innumerevoli espressioni di sorpresa, tramutatesi poi in piacevoli commenti e via via in entusiastiche esclamazioni. Ho anche ricevuto richieste di controlli più accurati, più approfonditi se vogliamo, ripetuti nel tempo se non nella stessa sessione di visita e sempre ho ottemperato ai miei doveri. Perchè una signora soddisfatta, dico io, una signora che ha goduto dei miei servigi, è una signora che tornerà e spargerà la voce fra le amiche.


Qualcuna mi ha proposto di continuare le sedute in separata sede ma mi sembrava di tradire la memoria della mia povera mamma. Non ci riesco. Io non riesco a... avete capito. Io non ho mai penetrato quel morbido e caldo rifugio, se non con le dita. Perchè io posso solo toccare.

Certo, quando torno a casa la sera, la solitudine mi pesa un po'. Ma la certezza di aver adempiuto ai miei doveri professionali con scrupolo mi solleva. Letteralmente. L'immagine delle visite della giornata mi accompagna prima di addormentarmi. Allora le mie mani così pazienti e dedite alle mie signore diventano meno pazienti e dedite solo a me stesso . E per quanto mi sforzi di resistere, il ricordo di quei fiori aperti e stillanti, di quei visi sorpresi e appagati e di quei sospiri languidi mi insegue e io non posso fare a meno di... toccarmi. Ma ogni volta mi pento, mi pento e ti penso, mamma.

E poi il giorno dopo si ricomincia. Perchè è il mio lavoro e che cos'è un uomo se non il mestiere che professa? E anche perchè in fondo sono orgoglioso del nome che mi hanno dato le mie signore: io sono il medico delle donne.

mercoledì 30 maggio 2007

Solo una domandina

Ma perché al liceo non avevo compagne di classe così? (Si accettano risposte di ogni tipo)



mercoledì 9 maggio 2007

Anna

Anna stanotte ti ho sognata

Mi sono avvicinato al tuo letto mentre tu non te ne accorgevi non puoi immaginare com’eri carina con gli occhi chiusi e la bocca un po’ aperta e le mani strette a pugno vicino al cuscino ho iniziato ad accarezzarti le dita ho notato che ti curi di più ultimamente e non ti mangi più le pellicine ti ho stretto la mano destra nelle mie poi mi sono chinato su di te e ho iniziato a baciarti i polpastrelli le unghie poi ho iniziato a leccarti le dita e il dorso della mano come un cagnolino e poi il palmo ti ho riempita di saliva e poi sono passato all’altra mano

Ma sulla mia strada ho trovato la bocca e allora ho posato un dito sulle tue labbra tu hai farfugliato qualcosa e ho premuto sul tuo labbro superiore per farti chiudere la bocca ma tu hai detto mnnn e hai piano piano riaperto la bocca allora io mi sono avvicinato per sentire il tuo respiro hai un buon odore e mi respiravi in faccia mi sembrava che il respiro si facesse sempre più forte e sempre più scandito più mi avvicinavo a te finché non sono finito con le mie labbra sulle tue per un breve bacio ma tu mi hai scansato subito e ho temuto che ti fossi svegliata

Non ti eri svegliata ma ti stavo schiacciando col corpo ecco perché e appena mi sono scostato ai iniziato a dormire beata allora ti ho allungato un dito verso le labbra e tu miracolo dei miracoli l’hai baciato e mentre giravo silenziosamente fino al fianco del letto tu hai continuato a baciarlo e poi ho sentito che la tua lingua percorreva le falangi e allora te l’ho infilato in bocca per metà e tu lo hai succhiato continuando a dormire beata

Allora mi sono nuovamente chinato su di te facendo attenzione a non toccarti se non con le labbra e ti ho tolto il dito dalla bocca e l’ho sostituito con la mia lingua la tua lingua inseguiva la mia nelle volizioni nel tuo palato poi tu l’hai infilata in bocca a me e sembrava quasi che volessi scavare fino al cervello come se mi amassi davvero e allora mi son detto stavolta si sveglia

Invece tu hai continuato a leccarmi la lingua e le labbra con gli occhi chiusi e hai ripreso a succhiarmi l’indice mentre io mi sono rialzato dal fianco del letto e senza nemmeno avere il tempo di avere dei rimorsi ho tirato fuori il cazzo e l’ho sostituito al dito non sapevo non credevo che tu potessi succhiare così bene in fin dei conti hai sette anni meno di me ma ormai evidentemente le ragazzine sono tutte un po’ troiette visto che non solo ti davi da fare prima a leccare la cappella e poi tutta l’asta e poi l’hai inghiottito ma addirittura emettevi dei mugolii da pornostar che non oso immaginare dove li hai imparati sei proprio una sgualdrinella e allora meritavi che io ti mettessi la mano dietro la nuca e ti spingessi giù fino alle palle già pregustando l’espressione che avresti fatto a svegliarti col mio cazzo in bocca

Macché niente allora mi sono sentito in dovere di infilare una mano sotto la maglia del tuo pigiama e avanzare fino alle tette non sono mai stato tanto contento del fatto che dormissi senza reggiseno e che io potessi strizzartele ormai sono diventate quasi da donna però sono così sode che mi hanno fatto venir voglia di alzarti la maglia fino al collo e chinarmi a leccartele anche se questo ha comportato che ti spostassi il cazzo in bocca più in fondo fino in gola e hai detto qualcosa come mglll che non ho capito bene cosa potesse significare magari era il preludio al risveglio

E quindi mi sono affrettato a sdraiarmi di fianco a te e a scendere lungo il tuo corpo con la lingua e quando ho trovato i pantaloni del pigiama non li ho abbassati ma ero talmente eccitato che ho iniziato a tirarli dal centro con le unghie e con i denti finché non si sono strappati e tu sentivi cosa ti stavo facendo e senza smettere di succhiarmi il cazzo senza nemmeno fermarti per respirare un poco hai dischiuso le gambe e io ti ho scostato le mutandine e ho iniziato a leccarti la fica

Non ti sei svegliata nemmeno allora ma hai detto mmphf e ho capito che non ti bastava né la lingua lungo le labbra né il massaggio al clitoride sempre che fossi in grado di trovarlo facilmente al buio completo né uno o due dita dentro la fica e mi dispiace aver dovuto toglierti il cazzo dalla bocca ma ne ho uno soltanto e mi sembrava chiaro che sia io sia tu volevamo che fosse altrove io volevo essere dentro di te e tu volevi essere intorno a me

Di notte io non ho una chiara percezione del tempo quindi non so dirti se ti ho scopata per ore e ore o per cinque minuti fatto sta che mi sentivo assolutamente sospeso mentre ti davo un colpo dietro l’altro e tu sotto di me avevi ripreso a mugolare e a baciarmi senza mai aprire gli occhi e io ti davo colpi sempre più forti dicendo adesso si sveglia e quasi sperando che ti svegliassi e anzi intensificando le botte appositamente per farti svegliare ma tu niente

Io a un certo punto non ce l’ho fatta più e ho tirato il cazzo fuori dalla tua fica dalle mutande scostate e dai pantaloni strappati e ti sono venuto addosso non credevo di avercene tanta non speravo che tu riuscissi a tirarmela fuori tutta fatto sta che ti ho macchiato la maglia del pigiama che avevi ancora arrotolata sopra il seno e qualcosa è perfino finito sui capelli se lo scopri mi ammazzi visto che stai le ore a lavarteli e a pettinarteli e ad acconciarteli quando magari a me serve il bagno

Poi sono tornato nel mio letto e ho aspettato la mattina e senza accorgermi ho riaperto gli occhi tardi tu mi stavi guardando e avevi i capelli bagnati e la maglia del pigiama sporca di sperma e i segni delle mie dita intorno ai capezzoli e i pantaloni del pigiama strappati e le mutandine sporche e la fica arrossata e mi hai detto

Fratellone stanotte ti ho sognato

giovedì 3 maggio 2007

Senza Parole (quasi)

Non c’è bisogno di andare di fretta. Sedetevi. Vi siete seduti? Rilassatevi. Non c’è bisogno di essere nervosi. Chiudete gli occhi e pensate di non essere più a casa vostra, o nel vostro ufficio, o in un internet point, o dovunque voi possiate essere al momento. Siete seduti al tavolino di un bar. Avete ordinato il vostro drink preferito, che può anche essere acqua frizzante per quel che me ne frega. Siete soli. Non volete essere soli. Vi guardate intorno, avete deciso di rimorchiare.

Ora però aprite gli occhi. Se non li aprite non solo non potete leggere quello che ho scritto, trauma facilmente superabile, ma non potrete guardare il breve video che ho inserito qui sotto. Non potrete vedere avvicinarsi una bionda alta e snella. Non potrete notare che ha un culo da favola né che non le passa nemmeno per la testa l’idea di indossare un reggiseno.

È completamente vestita, sia chiaro. Ma voi siete seduti al vostro tavolino, siete assolutamente rilassati, e non avete bisogno di donne nude per esercitare la vostra fantasia. Anzi, vi sembra che i vestiti rendano di più. Soprattutto quando sono leggeri e provocanti come in questo caso. L’avete vista bene? Ve la siete guardata una o due volte? Ora alzatevi e andate a raggiungerla.

Attaccare discorso è stato più facile di quanto abbiate creduto. Sedetevi di nuovo, tranquilli, rilassatevi di nuovo. E mentre le parlate piano piano – siete uomini? Abbassate mollemente la zip e tirate fuori il cazzo – siete donne? Carezzatevi dolcemente le mutandine con un dito.
Perché è bella, e vi piace. È troia, e vi piace ancora di più. Non ricordatevi di essere a casa, non ricordatevi di essere in ufficio, non pensate che se vi scopre vostra moglie o il vostro capo o vostra madre o vostro figlio avrete parecchie difficoltà a spiegare cosa ci fate col cazzo all’aria o con un dito nella fica. Non vi reggerebbe il cuore, eh, a sentirvi rimproverare di starvi masturbando – peggio ancora, di starvi masturbando davanti allo schermo di un computer – peggio ancora, di starvi masturbando davanti a una ragazza completamente vestita. Benché bella e provocante e troia e tutto quello che vogliamo.

Vi state toccando? Vi state toccando. Anch’io, e questo mi rallenta decisamente nella scrittura – non sono uomo da mano sinistra, io. Beati voi che dovete solo leggere. Dovete solo leggere e guardare. Avete letto? Avete letto con attenzione? Vi siete seduti, vi siete rilassati, vi siete convinti di essere al tavolino di un bar?

Allora guardate, e cercate di non venire prima della fine del filmato, soprattutto voi maschietti, che quando vi mettete in cerca di porcherie su internet siete già carichi come una carabina, siete terrorizzati di sporcare la scrivania o la camicia ma in realtà non aspettate altro.



domenica 29 aprile 2007

Ho smesso di fumare

Non ricordo manco più da quant’è che non vado seriamente in vacanza; poiché però bisogna pur trovare dei diversivi, uno dei miei passatempi preferiti durante l’estate consisteva nel pranzare abbondantemente e poi, tornato in camera mia, chiudere la porta a chiave e sbarrare gli scuri, lasciando solo una sottilissima cornice di sole tutt’attorno. Da quel buio iniziava la mia libertà. C’era ad esempio un dvd senza etichetta, dal titolo assolutamente anonimo, meramente descrittivo e quasi scientifico (Under 20 and barely touched), che avevo comprato a prezzo simbolico, già un po’ rigato, dalla videoteca nella quale di solito mi rifornivo affittando. Ora non funziona più, ma all’epoca era di qualità accettabile, anche se di tanto in tanto l’immagine ballonzolava, ma avrete intuito che non si trattava di Jean Vigo, pertanto serviva abbondantemente alla bisogna. Così giravo il portatile verso il letto, inclinavo leggermente lo schermo, infilavo il dvd nel lettore, dove faceva un rumore particolarmente infernale, e mentre gracchiavano i titoli lasciavo cadere i due o tre indumenti che mi coprivano nei balzelloni che compivo verso il letto. Nudo, mi sdraiavo e sentivo le membra sciogliersi nella consapevolezza che quella di cui mi si schiudeva la vista (un’ispanica piatta che veniva dettagliatamente interrogata prima di allungare le mani verso il cazzo del cameraman e regista e voce fuori campo) era la prima di dodici, o quattordici, o quindici scene, che mi avrebbero garantito quattro ore di silenzioso e oscuro batticuore.
Mi masturbavo piano piano, non c’è nemmeno bisogno di dirlo. Ma il momento di vero piacere consisteva nell’allungare la mano verso il comodino, prendere il pacchetto di Camel, sceglierne una e accenderla, tirando la prima boccata mentre l’ispanica succhiava il cazzo pallido del cineoperatore, e godermi lo spettacolo scenerando nel cestino dell’immondizia e sperando che non scoppiasse un incendio.
Ma se anche fosse scoppiato, pazienza. Sarei morto soffocato e carbonizzato sforzandomi di guardare, di là dalle volute di fumo emesse da me stesso, in rapida successione e senza muovere un dito: una biondina vestita da liceale che si faceva scopare in una camera d’albergo; un’abbondante rossa che si faceva penetrare il culo da oggetti di varia dimensione; una secca e un’obesa che si leccavano in una vasca da bagno; trailer di altri film di peggiore qualità; una tizia che si faceva leccare ai bordi di una piscina da un’altra tizia e un tale; l’unica donna decente di tutto il film che implorava un energumeno dal cazzo ricurvo di venirle in faccia; una donna dai seni enormi che infilava una mano intera dentro una ragazzetta bruttina; trailer di altri film e pubblicità telefoniche per l’America; una signorina della porta accanto che baciava sorridente la punta del cazzo che l’aveva appena interamente coperta di sborra; un negro che sorprendeva due bianche con un dildo su un divano, e così via: non sono mai riuscito a vedere la fine non solo perché a un certo punto venivo, ma soprattutto perché, col solitario rivolo di sperma che mi colava dal fianco nudo sul lenzuolo, fra una sigaretta e l’altra mi addormentavo, e dormivo il sonno del giusto.Era un’anteprima dell’inferno, calore fumo e donne nude: ma da qualche mese ho smesso di fumare e ultimamente, quando ho provato a rimettere il dvd senza etichetta nel lettore del portatile, ho abbandonato ogni speranza che torni a funzionare.


giovedì 19 aprile 2007

Lineare A, lineare B

Sarà che sono sempre stato precoce, sarà che sono sempre stato maiale, ma fatto sta che ricordo distintamente di essermi eccitato da bambino, più o meno in quarta o quinta elementare, quando la maestra ci ha spiegato i cretesi. Voi direte: perché? Perché leggendo con attenzione il sussidiario avevo scoperto che a Creta le nobildonne andavano in giro con una scollatura piuttosto ampia, o quanto meno ampia a sufficienza da lasciar scoperto tutto il seno.
Sicuramente sono sempre stato un maiale perché ricordo di aver passato un intero pomeriggio (ma quanti anni avrò avuto? nove? dieci? Dovrei vergognarmene, a pensarci bene) a studiare – ehm – le fotografie degli affreschi del palazzo reale di Micene, in cui di donnine scollate, per quanto necessariamente stilizzate, ce n’era in gran quantità. Ora, immaginate quanto possa essere erotico un sussidiario di scuola elementare e, oltre a concludere che con ogni probabilità vado internato in una clinica specializzata, cercate di capire che non mi eccitava tanto l’immagine in sé e per sé, microscopica vaga e sfocata, quanto l’idea soltanto che le donne potessero andare in giro completamente vestite e, contemporaneamente, con le tette di fuori.
Ammetto che questa faccenda dei vestiti delle nobildonne è l’unica nozione che mi è rimasta riguardo alla storia di Creta (e probabilmente riguardo alla storia in generale). Durante le medie devo aver dedicato qualche sega ai poveri cadaveri sfatti da millenni delle nobildonne che – maestose e immagino profumate – avevano offerto il petto agli sguardi degli ospiti del palazzo reale. Poi grazie a Dio crescendo si studiano sempre meno cose, così al liceo Creta era bella che dimenticata, e con essa le donnine. Tutt’al più mi assaliva qualche vago sentore d’eccitazione quando tizio o caio mi diceva che andava in vacanza a Creta; al che io me lo figuravo a passeggio per una stradina piena di signore e signorine che mostravano le tette senza vergogna alcuna, anzi con eleganza.

Ok, questo dovrebbe essere un blog porno e non un blog storico, quindi ravvivo subito la situazione. La faccenda delle nobildonne cretesi m’è tornata in mente guardando la copertina di Donna di Cuori, in cui per quanto l’abito fosse incontestabilmente medievale e per nulla miceneo, m’è parso subito chiaro che ero di fronte a un’incarnazione della mia infantile fantasia: la donna elegante e altera, vestita di tutto punto, col seno scoperto.


L’attrice si chiama Asia D’Argento, ed è molto meglio dell’originale senza la D’. Ho rovistato nella sua filmografia (Palle in Canna e Cara Maestra soprattutto) e ho scoperto che evidentemente l’associazione d’idee con le nobildonne cretesi non dev’essere venuta solo a me, poiché in buona parte delle sue copertine è sempre perfettamente vestita tranne quella scollatura innaturalmente scesa, quei bottoni criminalmente sbottonati a mostrare tutto il suo ben di Dio.

Ho sempre pensato che per capire se una donna è veramente eccitante non bisogna vederla nuda. Con spirito assolutamente empirico, ho via via compulsato centinaia di foto di Asia D’Argento per arrivare a due conclusioni irrefragabili.





La prima: Aisa D’Argento, paradossalmente, più è vestita meglio è. Il massimo risalto del suo erotismo si ottiene per contrasto fra il seno scoperto e il filo di perle, o il pizzo scostato, o la blusa squarciata. È la controprova che la donna non è un’animalessa qualsiasi (dalla giraffa all’ircocerva) alla quale basta andare in giro nuda perché qualcuno se la fotta – e che al contrario lo stesso vestito può essere ridicolmente ributtante su una donna ed elegantemente arrapante su un’altra. Ne consegue che il mondo è regolato da una profonda ingiustizia intrinseca, ma ci adegueremo.



La seconda: le tette di Asia D’Argento sono una O di Giotto. Sono divine, non v’è macchia né difetto alcuno. Saranno rifatte? Non me ne frega, l’importante è che siano rifatte bene – pensate a quanta gente è uscita peggiorata dalla sala operatoria. Da un lato guardate la forma, la simmetria, il bilanciamento. Non mi era mai capitato prima di vedere tette che, su uno schermo di computer, assumevano profondità tale da sembrare possibile toccarle, premere, giocarci. Poi guardate i capezzoli prominenti, le areole ovoidali, in perfetta proporzione aurea col resto del seno: ad avere le tette grosse sono buone (quasi) tutte, ad avere i capezzoli perfetti no.


Ulteriormente, un paio di tette così bisogna saperlo portare: e i requisiti per portare tette del genere sono uno sguardo leggermente incattivito (per controbilanciare psicologicamente l’affetto materno che sprizza – metaforicamente spero – dalle tette medesime) e una pettinatura sempre impeccabile (per controbilanciare fisicamente la gravità delle tette con una leggerezza indotta dai capelli sottili, lisci o eventualmente appena mossi). Asia D’Argento ha tutti i requisiti; Asia D’Argento ha le tette perfette, a dimostrazione che le tette medesime sono state create per venire mostrate e che bisogna necessariamente rivedere buona parte dei nostri giudizi storici in favore delle nobildonne cretesi. Ne consegue che il mondo, apparentemente regolato da una profonda ingiustizia intrinseca, ha in realtà in sé stesso un principio di perfezione e di consolazione, di cui le copertine di Donna di Cuori, Cara Maestra e Palle in Canna rendono una parziale ma ragionevole idea.
Ora scusate se smetto di fare il critico d’arte, ma non riesco più a tenere le mani sulla tastiera.








venerdì 13 aprile 2007

La vergine Laura, che forse con cento uomini giaciuta era

Io e Laura stavamo insieme all’inizio dell’università. La cosa curiosa è non tanto che lei allora fosse vergine, ma che lo fosse rimasta anche dopo che ci eravamo lasciati; in un anno circa non avevamo mai fatto l’amore, cosa abbastanza grave a pensare che avevamo vent’anni scarsi e soprattutto che lei non faceva altro che pensare al sesso. Non esagero: nel bel mezzo di un’uscita con gli amici, o di una lezione, o di qualsiasi momento pubblico o privato iniziava a lanciarmi certi sguardi bollenti, certe parole esplicite, certi inviti per nulla larvati... e poi si negava. Siamo andati avanti così per un bel po’; all’inizio non ci pensavo nemmeno, sinceramente, perché quando si è ragazzini pur di avere la fidanzata fissa si è pronti a sacrificare qualsiasi cosa, paradossalmente anche il principale motivo stesso per cui quando si è ragazzini si vorrebbe avere la fidanzata fissa – lo so, era un circolo vizioso ma ci ero tanto immerso dentro da non rendermene conto. Qualche mese dopo, Laura mi aveva detto che di notte avevo pronunciato qualcosa di confuso intorno alle distinte parole: “mettere...dentro...dolcemente”. Sarà che con gli anni si perde fiducia nella gente, ma allora ci credetti e ora penso che se lo sia inventato per provocarmi. Voleva vedere l’ossessione e la frustrazione nei miei occhi, e con una frase del genere ci era perfettamente riuscita.
Sia chiaro, mi masturbava regolarmente. Si spogliava, mi baciava, mi eccitava in tutti i modi e, appena capiva che avrei voluto prenderla del tutto, mi chiudeva la sua mano sul cazzo e la ritirava soltanto quando era sporca di sperma. Si puliva le dita in un kleenex con aria colpevole. Voleva che fino alla volta successiva mi sentissi come uno che l’avesse sporcata, le avesse rovinato l’anima. Poi il suo corpo ricominciava a provocarmi, finché nuovamente non mi veniva duro e si limitava ad accarezzarmi. Anche questo era un circolo vizioso, ma ero troppo eroticamente carico e stressato per rendermene conto.
Poi, come accade sempre, ci siamo lasciati. Dieci mesi, undici, non ricordo nemmeno: fatto sta che da allora è tornata a visitarmi regolarmente. Di notte, verso le due o le tre, quando la solitudine si fa più acuta, Laura appare e mi racconta. Tramite questo non comune mezzo di comunicazione ho appreso tutto per osmosi, la sua laurea, i suoi fidanzamenti, la morte di suo padre.
Ora sta da tempo con un ingegnere, e mi racconta le loro piccole sconcezze, le intimità, i giochi. Le cose che non si raccontano a nessuno.
L’ultima volta mi ha squassato, dicendomi che lui, l’ingegnere, l’ha bendata. L’ha chiusa in una stanza. L’ha lasciata sola e nuda. Poi è tornato, almeno venti minuti, una mezz’ora dopo, e le ha dato il suo cazzo da succhiare; ma succhiando s’è subito resa conto che non era il suo, non era il cazzo dell’ingegnere; tant’è vero che il cazzo dell’ingegnere s’è aggiunto subito dopo. Ma nemmeno il secondo cazzo era quello dell’ingegnere. Era forse il terzo? Il quarto? Il decimo? Piena di cazzi tutt’intorno, la vergine Laura che non mi ha mai voluto dentro di lei mi ha raccontato come questi cazzi anonimi e ciechi entrassero e uscissero dalla sua bocca, dal palmo delle sue mani. Dalla fica progressivamente aperta sotto colpi non familiari; erano così tanti che a un certo punto il culo è stato più che un piacere una necessità. Erano così tanti, mi raccontava Laura, che avrei voluto avere non due ma dieci mani, non una ma cento fiche per soddisfarli tutti, per renderli miei e comprenderli e capire così di chi fossero; ma non lo sapevo, continuava Laura, e non potevo che accettarli passivamente. Un oggetto nelle loro mani. Sono stata la tua vergine, ora ero la troia dell’ingegnere. Laura era quanto mai viva e presente al bordo del mio letto e la sveglia sul comodino segnava le tre meno un quarto da ore; il suo racconto, il dettaglio di ogni uomo e di ogni cazzo che le entrava dentro, che le veniva dentro, sembrava infinito, si moltiplicava su sé stesso, si autoalimentava: e lei diceva di sé, mi hanno violentata. Mi hanno abusata. Mi hanno slabbrata. Mi hanno farcita.
Farcita – è stata la parola che mi ha fatto vedere la vergine Laura colare di piacere altrui da ogni buco. È stata la parola sulla quale s’è ritirata con le dita ancora sporche della mia sborra.

sabato 7 aprile 2007

FFSS

Prendo raramente il treno. Nei miei ricordi di adolescente pendolare rimane come il mezzo di trasporto più obsoleto che esista. Non sopportavo le continue soste, l'odore di polvere e chiuso dei vagoni, lo sferragliare delle vetture, i ritardi, le toilette poco pulite, la finta pelle dei sedili, il caldo e il freddo amplificati da spifferi inopportuni e riscaldamenti perennemente guasti, la varia umanità forzatamente rassegnata che viaggiava insieme a me.

Ma di necessità virtù, è ovvio. E così mi ritrovo su questo trenino sgangherato, probabilmente l'ultimo esemplare di antiquariato ancora presente su questa linea, una tratta breve per chilometraggio, ma infinita per tempi di percorrenza.

Tutto è come lo ricordavo: le tendine grigie e polverose sbattono sui vetri del finestrino mezzo aperto, nella speranza che un pietoso refolo di vento possa alleggerire quest'afa agostana. La plastica verde della seduta mi si appiccica alle cosce sudate, costringendomi a dolorosi strappi per ogni cambio di posizione. Lo specchietto sopra il sedile di fronte mi riflette corrucciata e stanca, desiderosa di una doccia. Vorrei essere altrove. Vorrei essere già arrivata o neppure partita.

Pazienza. Almeno sono sola. Tiro fuori il mio giornaletto di parole crociate, la mia matita con la gomma. Per compagnia il silenzio.

Forse mi sono appisolata, o così mi pare. Mi sveglia un rumore improvviso di frenata nel buio di una galleria: deve esserci uno scambio. La luce dello scompartimento traballa, mi pare più fioca di come la ricordavo. Davanti a me un uomo distinto, giacca e cravatta, cartella di pelle. E accanto a lui un ragazzo, jeans e camicia, ipod alle orecchie.

Socchiudo gli occhi. Vorrei addormentarmi di nuovo, non so quanto disti la mia fermata nè che ore siano. Ho un senso di languida pesantezza addosso, i muscoli rifiutano il minimo movimento, come se fossi paralizzata.

I due davanti a me si sono cambiati di posto. Adesso l'uomo è alla mia sinistra, il ragazzo di fronte. E' tutto molto confuso, ma nel dormiveglia sento che parlottano a bassa voce e mi osservano. Immagino che la gonna possa essersi sollevata nel sonno, che mi stiano guardando le cosce: dovrei svegliarmi e abbassarla sulle gambe, ma non ne ho la forza.

Sento un dito - uno solo, leggero, fresco - che mi sfiora una spalla e poi il collo. Sento una mano - parimenti leggera - che mi slaccia quasi tutti i bottoni della camicetta.

Vorrei alzarmi sdegnata, protestare vibratamente per questa mancanza di rispetto verso una passeggera dormiente ma le palpebre sono diventate pesantissime.

Adesso sono due le mani che allargano i lembi di stoffa e abbassano il reggiseno di cotone, mentre altre due mani alzano con decisione la gonna fin sopra i fianchi e mi aprono le gambe. Avverto il respiro affrettato del ragazzo mentre cerca di toccarmi con delicatezza un capezzolo e il sospiro dell'uomo mentre mi scosta le mutandine e segue il contorno delle grandi labbra con l'indice e il medio, affondandoli nella fica.

Sento, penso che dovrei aprire gli occhi, tornare a me, fare qualcosa insomma. Ma il risultato del mio goffo tentativo di muovermi, appiccicata alla similpelle del sedile, è quello di permettere all'uomo di penetrarmi ancora più a fondo con le dita.

Mi sento come una farfalla infilzata da uno spillo.

Disagio, provo un penoso disagio: essere così, alla mercè di due sconosciuti, un corpo inerme e manipolabile, il mio sesso e i miei seni alla vista di tutti. Chissà cosa penseranno di me, chissà cosa si sentiranno in diritto di fare in mancanza di ogni mia reazione.

L'uomo mi s'inginocchia davanti, sento la sua camicia sfiorarmi le cosce. Si è tolto giacca e cravatta e ha arrotolato le maniche al di sopra dei gomiti. Appoggia le braccia sulle mie gambe, le mani calde sui fianchi mi tengono ferma, immobile. Comincia leccarmi il clitoride attraverso la stoffa degli slip e non capisco dove finisca l'umidità calda della sua lingua e cominci quella vischiosa della mia eccitazione.

Adesso è il ragazzo ad essere seduto accanto a me. Mi prende una mano e la posa sopra un'evidente erezione. Poi mi circonda le spalle con un braccio e delicatamente mi ruota con la schiena verso di se', facendomi sdraiare sul sedile e sulle sue gambe. Si appropria del mio seno, dei miei capezzoli, toccando, torcendo, tirando, accarezzando, strofinando con le dita.

Ho una gamba a terra, l'uomo l'afferra e se la porta sulla spalla per poter leccare meglio e più in profondità. Sento la sua lingua che mi entra dentro, poi indugia di nuovo all'ingresso della mia fica, mi succhia le labbra e stringe il clitoride, mentre le dita mi penetrano di nuovo.

Sono imbarazzata e curiosa, vorrei sbirciare, godermi la scena. Tento, ed è come se osservassi me stessa dall'esterno. Adesso non sembro tanto passiva. Muovo il bacino in avanti, protendo la fica verso le dita e la lingua dell'uomo, mentre i capezzoli duri, eretti, non aspettano altro che il tocco del ragazzo, implorando ambedue di fare più forte, sempre più forte.

Gemo, mi agito, sento entrambi darsi da fare su di me, mentre non riesco più a contare le mani, le dita, le lingue e le bocche.

Con uno sforzo sovrumano, apro gli occhi nel momento dell'orgasmo. Vengo ansimando, quasi senza fiato, la bocca asciutta. Lo specchio sopra il sedile mi riflette scomposta e sudata, la fica bagnata e gonfia, i seni che traboccano dalla camicetta, il viso arrossato per il godimento e le mie mani che toccano freneticamente il clitoride sotto le mutandine. Le tendine continuano a sbattere contro il vetro, ma la luce dei neon è più intensa.

Ecco. Era una fantasia. Ho sognato tutto e sono sola. Beh, non esattamente.

Sola sì, se si eccettua il capotreno fermo sulla porta. Che adesso entra nello scompartimento, si toglie il cappello e chiude la porta scorrevole. E tira finalmente quelle maledette tendine.