venerdì 13 aprile 2007

La vergine Laura, che forse con cento uomini giaciuta era

Io e Laura stavamo insieme all’inizio dell’università. La cosa curiosa è non tanto che lei allora fosse vergine, ma che lo fosse rimasta anche dopo che ci eravamo lasciati; in un anno circa non avevamo mai fatto l’amore, cosa abbastanza grave a pensare che avevamo vent’anni scarsi e soprattutto che lei non faceva altro che pensare al sesso. Non esagero: nel bel mezzo di un’uscita con gli amici, o di una lezione, o di qualsiasi momento pubblico o privato iniziava a lanciarmi certi sguardi bollenti, certe parole esplicite, certi inviti per nulla larvati... e poi si negava. Siamo andati avanti così per un bel po’; all’inizio non ci pensavo nemmeno, sinceramente, perché quando si è ragazzini pur di avere la fidanzata fissa si è pronti a sacrificare qualsiasi cosa, paradossalmente anche il principale motivo stesso per cui quando si è ragazzini si vorrebbe avere la fidanzata fissa – lo so, era un circolo vizioso ma ci ero tanto immerso dentro da non rendermene conto. Qualche mese dopo, Laura mi aveva detto che di notte avevo pronunciato qualcosa di confuso intorno alle distinte parole: “mettere...dentro...dolcemente”. Sarà che con gli anni si perde fiducia nella gente, ma allora ci credetti e ora penso che se lo sia inventato per provocarmi. Voleva vedere l’ossessione e la frustrazione nei miei occhi, e con una frase del genere ci era perfettamente riuscita.
Sia chiaro, mi masturbava regolarmente. Si spogliava, mi baciava, mi eccitava in tutti i modi e, appena capiva che avrei voluto prenderla del tutto, mi chiudeva la sua mano sul cazzo e la ritirava soltanto quando era sporca di sperma. Si puliva le dita in un kleenex con aria colpevole. Voleva che fino alla volta successiva mi sentissi come uno che l’avesse sporcata, le avesse rovinato l’anima. Poi il suo corpo ricominciava a provocarmi, finché nuovamente non mi veniva duro e si limitava ad accarezzarmi. Anche questo era un circolo vizioso, ma ero troppo eroticamente carico e stressato per rendermene conto.
Poi, come accade sempre, ci siamo lasciati. Dieci mesi, undici, non ricordo nemmeno: fatto sta che da allora è tornata a visitarmi regolarmente. Di notte, verso le due o le tre, quando la solitudine si fa più acuta, Laura appare e mi racconta. Tramite questo non comune mezzo di comunicazione ho appreso tutto per osmosi, la sua laurea, i suoi fidanzamenti, la morte di suo padre.
Ora sta da tempo con un ingegnere, e mi racconta le loro piccole sconcezze, le intimità, i giochi. Le cose che non si raccontano a nessuno.
L’ultima volta mi ha squassato, dicendomi che lui, l’ingegnere, l’ha bendata. L’ha chiusa in una stanza. L’ha lasciata sola e nuda. Poi è tornato, almeno venti minuti, una mezz’ora dopo, e le ha dato il suo cazzo da succhiare; ma succhiando s’è subito resa conto che non era il suo, non era il cazzo dell’ingegnere; tant’è vero che il cazzo dell’ingegnere s’è aggiunto subito dopo. Ma nemmeno il secondo cazzo era quello dell’ingegnere. Era forse il terzo? Il quarto? Il decimo? Piena di cazzi tutt’intorno, la vergine Laura che non mi ha mai voluto dentro di lei mi ha raccontato come questi cazzi anonimi e ciechi entrassero e uscissero dalla sua bocca, dal palmo delle sue mani. Dalla fica progressivamente aperta sotto colpi non familiari; erano così tanti che a un certo punto il culo è stato più che un piacere una necessità. Erano così tanti, mi raccontava Laura, che avrei voluto avere non due ma dieci mani, non una ma cento fiche per soddisfarli tutti, per renderli miei e comprenderli e capire così di chi fossero; ma non lo sapevo, continuava Laura, e non potevo che accettarli passivamente. Un oggetto nelle loro mani. Sono stata la tua vergine, ora ero la troia dell’ingegnere. Laura era quanto mai viva e presente al bordo del mio letto e la sveglia sul comodino segnava le tre meno un quarto da ore; il suo racconto, il dettaglio di ogni uomo e di ogni cazzo che le entrava dentro, che le veniva dentro, sembrava infinito, si moltiplicava su sé stesso, si autoalimentava: e lei diceva di sé, mi hanno violentata. Mi hanno abusata. Mi hanno slabbrata. Mi hanno farcita.
Farcita – è stata la parola che mi ha fatto vedere la vergine Laura colare di piacere altrui da ogni buco. È stata la parola sulla quale s’è ritirata con le dita ancora sporche della mia sborra.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

...come si cambia nel tempo... ma forse neanche troppo...

diavolo ha detto...

Mah - io sono convinton che fosse così già da subito. Poi tutto sta a saper premere i bottoni giusti...

Ugo Hander ha detto...

Bel raccontino :)

Anonimo ha detto...

Buonasera, sono l'ingegnere...

Anonimo ha detto...

Complimenti per il racconto ;-)
Ambracalda.splinder.com

Gisel_B ha detto...

un racconto scritto davvero molto bene. diavolo d'un diavolo... bacio e buona domenica!

diavolo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
diavolo ha detto...

Grazie Adorabilissima, grazie Ambra, grazie Giselle, grazie Ugo e grazie Guardone. Spero di fare sempre meglio però.

acquasanta ha detto...

Beh, a questo punto è una gara fra me e te, caro diavolo...:)

Anonimo ha detto...

molto eccitante