domenica 24 giugno 2007

In libreria (ma si', dai... in libreria)

Mi pareva una buona idea cercare spunti per la mia tesina su un manuale specializzato. Anche se è una tesina sul romanzo erotico. Ma si sa, l'autore esagera sempre. E poi mica parla per sua esperienza diretta. Immagina. Fantastica. Prende una piccola parte di realtà, una cosetta insignificante e poi la ingigantisce. La romanza. Appunto. Sennò mica si chiamerebbero romanzi. Si chiamerebbero cronache. O manuali. ecco. E io adesso ho bisogno di un manuale. Sui pompini. Insomma, qualcosina di un po' più specifico di Anais Nin. Anatomia del cazzo, per cominciare. Vediamo se trovo qualcosa.

Oh, ti pareva. Una si siede tranquilla a sfogliarsi un libro in santa pace ed esce fuori il cretino di turno. Anzi, i cretini. Ehi, vi ho visto, inutile che vi allontaniate facendo gli indifferenti. Anche te, carciofo con gli occhiali, proprio tu che mi stai gironzolando intorno. Che fai? Sbirci? Ebbene sì, sono foto che illustrano come fare una fellatio. Interessa? Scommetto di sì, a vedere come sei imbranato. E posa quello stupido libro sul sesso anale nella filmografia anni settanta... sei ridicolo. Non riesci nemmeno ad attaccare bottone.


Adesso mi alzo. Voglio proprio vedere cosa fai. Oddio, che occhioni da cane bastonato. Ma che fai? Vuoi pure consigliarmi un libro, adesso? Il primo che ti capita a tiro dandomi ad intendere che lo hai riconosciuto al tatto, eh? Bene, se vuoi giocare allora giochiamo pure.


"Questo...questo è particolamente buono, mi pare".
"Lo conosco, grazie".

Mi giro verso lo scaffale. Uh, il "Il caso dell'orgasmo femminile" della Lloyd! Quasi quasi lo prendo.


E tu? Te ne vai adesso o vuoi continuare a stare in mezzo alle scatole con quell'album delle figurine in mano? Tutto intento a sbirciare tette, guardalo là. E sei pure arrapato, si vede da come ti si sono gonfiati i pantaloni. Scommetto che ti sei eccitato a vedere che mi sfogliavo le sequenze per la fellatio perfetta. Pagherei per toglierti di dosso quell'aria sussiegosa e ingessata - ihihihi...ingessata, proprio! Chissà che faccia faresti se ti sbottonassi i pantaloni e te lo tirassi fuori adesso, in questo angolo nascosto ma non troppo. Perchè potrei farlo sai? Anzi, sai che c'è? Adesso lo faccio.


E così mi giro di nuovo, ti guardo, ti porgo il volume che ho in mano ("me lo tieni un attimo, per favore?"), mi inginocchio, ti sbottono la patta, lo tiro fuori dagli slip (ma per favore, vogliamo imparare che esistono i boxer e gli slip sono da vecchi?) e profuma di maschio pulito, innanzitutto. Questa è una bella sorpresa. E' di onorevoli dimensioni. E' bello duro. E tu non sei per nulla spaventato.


Mi fai prendere il cazzo in mano, poi fra le labbra; mi dai il ritmo prendendomi per i capelli, ma con delicatezza. Quando comincio a pomparti per bene ti appoggi allo scaffale, ansimando appena. Mi sembra che duri un'eternità, ma saranno cinque minuti che ti ho in bocca, non di più. Un attimo prima di venire mi guardi interrogativamente: ingoio o non ingoio? E io in risposta accelero e succhio e ingoio. Hai un buon sapore. Poi mi alzo, ti lascio un bacio leggero su una guancia mentre riprendo il mio volume ("grazie per avermi tenuto il libro", "di nulla, ma ti pare") e me ne vado nel reparto sport a cercare il mio ragazzo.

Io sono rimasta con la voglia di cazzo, però. Il tuo. Ma oramai, dove ti ritrovo? E no, non hai fatto per niente la figura del coglione, sai?

venerdì 8 giugno 2007

Per Antonio

Quella sera ci siamo incontrati per la prima volta. Presentati. Stretti la mano. Un viso simpatico, mi sono detta. Per favore, fa' che almeno abbia un viso simpatico e sorridente, che devo fare questa esperienza o scoppio e non potrei sopportare scocciature. Hai un bel sorriso. Ispiri fiducia. Mi guardi la scollatura oltre il golfino. Bene. Cominciamo bene. Più tardi confesserai che stavi valutando quanti strati di vestiti potessi avere addosso.


So che mi stai soppesando con lo sguardo. Ti stai domandando cosa verrà fuori da questa serata. Io lo so. Quello che non so è il quando e il come. Conversiamo del più e del meno. Lavoro, amicizie, aneddoti: spalmiamo un leggero strato di vernice sociale, così, per non essere dei perfetti sconosciuti. Ti faccio camminare. Parliamo, parliamo, parliamo.


Ci fermiamo davanti alla vetrina di una galleria d'arte. Ti attira (?) un dipinto erotico, per nulla allusivo, una donna seminuda a cosce aperte che guarda sfrontata il suo interlocutore. Sono imbarazzata e quando dichiari che ti eccita e mi guardi diritta negli occhi, mi allontano. Non sono brava negli approcci, nel decifrare segnali, nel cogliere appigli; mi trovo a disagio nei balletti di corteggiamento. Posso solo andare alla meta, diretta, lasciando da parte le infiocchettature.


Passeggiamo ancora. Rifiuto ogni offerta di fermarci a bere qualcosa. Se deve succedere, voglio che succeda presto, senza sprechi di tempo.


Ci fermiamo in un punto particolarmente panoramico. Pioviggina e apro il mio minuscolo ombrellino . Ti avvicini e mi prendi a braccetto mentre chiacchiero a vanvera sul duomo e la sua architettura gotica e poi non ce la fai più e mi baci. Mi metti la lingua in bocca ed è più un assalto che un bacio.


Ecco. Ora è tutto più chiaro.


Vorresti toccarmi un seno, ma non è il posto adatto. Rispondo al tuo bacio ma mi sento strana, irreale, come se non stessi facendo quello che sto facendo. Tu stesso sei strano, un alieno, ma dove ti ho pescato? Non ti conosco. Mi dico che è normale, che devo solo rilassarmi.


Camminiamo veloci verso il parcheggio. Via la patina di socialità, via le chiacchiere, vuoi solo un posto dove baciarmi in pace, dici. Saliamo sulla tua auto e mi metti le mani sotto il golfino, sei impaziente. Ti chiedo di andare da un'altra parte, non mi sento sicura. Parti sgommando, paghi il parcheggio e ti dirigi fuori città, verso la campagna. Ci fermiamo su una stradina laterale. E' buio pesto, appena un po' di luna fra le nuvole, lasci accese solo le luci del cruscotto.


Così mi sento più a mio agio. Non puoi vedermi in viso, non puoi capire se arrossisco.


Ci baciamo. Mi tocchi il seno sotto la maglietta, sento che sospiri. Non mi lasci la lingua, mi stringi i capezzoli e mi fai quasi male, non riesci a dosare la forza. Mi slacci il reggiseno e mi prendi entrambe le mammelle fra le mani, mi stuzzichi con i pollici e adesso sospiro io. Mi faccio coraggio e ti tocco attraverso la stoffa dei pantaloni. Sei di granito. Slaccio la cintura, abbasso la zip e lo tiro fuori. E' tutto nuovo e strano e tuttavia familiare. Mi proponi di andare sul sedile di dietro.


Ti togli i calzoni e i boxer e lo prendo in bocca. Così, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non facessi altro da una vita. Proprio io. Lo lecco, lo succhio, lo tocco. Sto imparando e mi muovo più con l'intento di apprendere che con il desiderio di farti godere. Ad un certo punto mi fermi e prendi un fazzoletto, sei imbarazzato. Ti pulisci, sei venuto e non sai se mi piace ingoiare. Non lo so neanche io, ma di sicuro avrei provato e te lo dico.


Parliamo un po', poi mi guardi in modo nuovo. E' desiderio. Dio, che bello, è la prima volta che vedo uno sguardo così. Plateale e limpido. Ci spogliamo senza dire una parola, in fretta e urtandoci di continuo per via dello spazio esiguo. In un attimo mi sei sopra e non faccio a tempo a dire che non so se me la sento di avere un rapporto completo e tu a rispondermi che ti fermerai se non voglio, che già mi sei dentro, già ti ho tirato dentro.


Ti fermi, mi guardi. Sono distesa sul sedile, i capelli sciolti e sparsi, e nel cono di luce della luna mi sento assolutamente scoperta e vulnerabile. Ma non me ne importa nulla, ho il tuo cazzo dentro e voglio sentire, voglio sentire bene. Ti muovi e gemo ad ogni spinta. Non sono mai stata così viva. Mi guardi godere, ansimare, cercare di muovermi e assecondarti. Ti imploro di spingere, di spingermelo dentro sempre di più, di farmelo sentire bene. Mi eccita sentirti mugolare, il tuo odore - odore di sesso e di pulito - mi piace, mi piace da morire. Ti guardo venire una seconda volta, hai gli occhi chiusi, ridotti a due fessure, e un'espressione di piacere intenso sul viso. Sono io che ti sto dando tutto questo godimento, vero? Non l'avrei mai ritenuto possibile. Non senza amore, non senza un po' di sentimento o un pizzico di affetto. O al limite una vaga conoscenza.

Ti accucci sopra di me e cerchi di riprendere fiato. Mi riempi il viso di piccoli baci, mi guardi e mi dici che sono davvero una bimba, così giovane. Che sono bellissima. Ti sento battere il cuore. Sono curiosa di ogni tua espressione, di ogni gesto.

E poi ti zittisci e mi guardi di nuovo in quel modo così particolare e vuoi ricominciare tutto: i baci, le lingue che si succhiano, le dita dentro la fica e nel culo, il cazzo di nuovo dentro di me, le tue spinte, i tuoi ululati di piacere, i miei gemiti che poi diventano urli, le tue mani conficcate sui fianchi a tirarmi sempre più vicino, la cappella gonfia che struscia contro le mie pareti e la sensazione di essere desiderata, desiderabile, l'unica donna che ti tira il cazzo da morire, come mi hai detto una volta.

Avresti continuato all'infinito, lo so. E io con te. Ma scopare e basta non è sufficiente, alla lunga.

Ciao Antonio.

Yogurt

Io credo che la pornografia mi piaccia - e che piaccia in generale - perché si colloca sul crinale di uno scarto; perché parte da presupposti normali e quotidiani e li sviluppa scegliendo sempre, immancabilmente, la possibilità che nella vita reale viene il più delle volte esclusa, o trascurata; perché così trasforma una qualsiasi bella ragazza nella meravigliosa Selen grazie a un'enorme coppa di yogurt e a un cameriere che si trova a passare senza mutande.

giovedì 7 giugno 2007

In libreria (sì, in libreria)

Per anni mi sono masturbato a sangue sulla sola idea che una donna potesse non dico eccitarsi oltremodo ma anche soltanto interessarsi alla visione di immagini erotiche o più o meno esplicitamente pornografiche – per anni avevo immaginato che la possibilità che uno sguardo femminile potesse prima o poi posarsi sulla pagina (o sul fotogramma) che in quello stesso momento mi sembrava creato al solo scopo di eccitarmi lo dotasse di un valore aggiunto che mi costringeva ad allungare una mano verso il (mio) cavallo dei pantaloni. Per anni qualsiasi porcheria – il più raffinato romanzo erotico come il più stilizzato fumetto porno come il più abusato dvd hard come il più recondito cinemino nascosto – è diventata il sottofondo più o meno latente di ogni mio rapporto e, temo, la causa della rottura di più di un fidanzamento, o anche soltanto un deterrente alla conquista, nel momento stesso in cui mi rendevo conto che, ecco, la signorina che avevo davanti non si sarebbe mai abbassata a slacciarmi i pantaloni davanti a – che ne so – “Corna Vissute” o “Slap Happy Pappy #34”.
Questo, per anni. Poi, com’è noto, ci si rassegna e ci si accontenta di essere un navigatore solitario, di notte davanti allo schermo bluastro del computer, oppure nel primo pomeriggio nelle strade di periferia, o di fronte all’edicola più lontana da casa, o nel settore erotico che immancabilmente, in ogni libreria, divide il settore cucina dal settore autoconsapevolezza. E proprio in una delle interminabili mattinate finite con la fuga in libreria, dove sempre ho sognato di essere in grado di attaccare discorso, foss’anche per dire a qualcuna che il romanzo che stava sfogliando dubbiosa io l’avevo letto, e mi era piaciuto, o che era opera dello scrittore più stronzo del mondo, o che a metà prezzo avrebbe potuto trovare un’edizione perfino più maneggevole – dicevo, in una delle fughe mattutine in libreria, quando frustrato oltremodo dalla mia incapacità di dare mezzo suggerimento a una sconosciuta (aggiungendo subito dopo che non venivo pagato né dall’autore né dall’editore) finivo inevitabilmente a mezza strada fra il settore cucina e il settore dell’autoconsapevolezza, dove fingevo di sbirciare “Mangiare sano senza rinunce” o “Perché lui guadagna più di me ed è più cretino?” salvo poi, non appena la folla si diradava, fiondarmi su “Il Grande Libro del Seno” o su “Casa Howhard” (ce l’avete presente? è quella serie-capolavoro a fumetti in cui Baldazzini immagina una squadriglia di ragazze snelle, dalle tette enormi e senza fica ma col cazzo, non per questo tuttavia meno femminili di tante che si incontrano per strada e sono senza cazzo ma con la fica) o peggio ancora su tutta quella serie di romanzi tutti uguali nella copertina, nel layout, nei contenuti e nel piattume dello stile che altro non fanno che replicare parossisticamente le stesse variazioni d’amplesso con lo stesso lessico bolso, e che mi eccitano da morire – dicevo proprio in una di quelle interminabili mattine (interminabili come il mio periodare, d’altronde) quando afflitto da ogni male mi sono diretto senza indugio verso l’esercito di libri tutti uguali che ho visto.
Ho visto una ragazza, non avrà avuto più di ventitre anni, seduta per terra come una bambina nel reparto al piano di sotto, che compulsava un volume del tipo “Come farlo impazzire a letto”, anche se ovviamente non ero riuscito a controllare il titolo, ma lo stile era quello. Non ero l’unico che aveva visto, ovviamente, e i vari ometti (devo riconoscere, tutti più anziani e più bruttarelli di me) che come me si rifugiavano nello stesso settore che non era più di cucina e non era ancora di autoconsapevolezza avevano visto anche loro, si erano stupiti ma, con mia somma sorpresa, invece di avvicinarsi si allontanavano guardinghi. Dunque era lì, mi sono detto, il mio sogno erotico? Una ventitreenne né bella né brutta, vestita come qualsiasi ragazza si possa incontrare per strada senza giudicarla male, seduta per terra come una bambina e tutta intenta a scrutare la riproduzione fotografica seriale delle varie tappe di un pompino ben fatto? Tutto qua?
Non ho potuto fare a meno, e mi sono avvicinato; ma ancora ero timido e soprattutto la ragazza mi rivolgeva le spalle, così che ho iniziato a far scorrere l’indice sulla fila di libri fotografici (forse temendo che lei avesse gli occhi anche dietro la nuca) mentre sbirciavo sopra le sue spalle e vedevo il procedere del pompino fotografato man mano che sfogliava il libro, una pagina dopo l’altra. Sentivo di star perdendo il controllo e di non essere pronto a far nulla. Per esserle più vicino mi sono accovacciato e ho preso in mano, con fare da intenditore, una guida pocket al sesso anale nella filmografia degli anni settanta (giuro che esiste) e l’ho sfogliata con l’aria annoiata di chi sa già tutto, ha già visto tutto, ha provato tutto. Poiché la ventitreenne, incantata sulla pagina dedicata all’eiaculazione, non dava segno di volersi muovere né di accorgersi della mia ingombrante presenza giusto dietro di lei, ho riservato lo stesso trattamento al volume gemello dedicato al sesso orale nella filmografia degli anni settanta (ricavandone che solo tempo dopo le attrici accettarono di farsi abitualmente sborrare in faccia senza per questo cessare di sorridere all’obiettivo, ma questo non è un blog storico, quindi lascio cadere l’argomento).
La ragazza ha posato immediatamente il volume che aveva e s’è immersa nella ricerca di un altro simile, forse migliore, esattamente come me facendo scorrere l’indice sui dorsi dei libri disposti sullo scaffale. Per farlo si era rialzata. Mi ero rialzato anch’io e non avevamo potuto non guardarci. Allora ho preso un libro a caso (giuro, a caso) dallo scaffale all’altezza del mio braccio destro e, senza nemmeno guardare la copertina, gliel’ho porto. Lei avrà creduto che l’avessi riconosciuto al tatto e mi ha guardato con aria interrogativa, senza fiatare. “Questo…”, ho deglutito, “questo…”, ho desiderato di essere già morto, “questo è particolarmente buono, mi pare.” Non ha reagito. O meglio, ha detto: “Lo conosco”, s’è rigirata e ha ricominciato la sua ricerca, immergendosi nuovamente in un coacervo di figure nude di donne e uomini. Allora non ho saputo cosa fare. Andarmene significava ammettere la sconfitta. Se se ne fosse andata lei, mi sarei sentito libero di fare quel che volevo. Invece lei è rimasta lì, proprio come se non ci fossi, e questo poteva significare tanto un invito a insistere, magari con un libro più porco di quello che avevo preso a casaccio (riponendolo l’ho guardato – era il solito rapporto sull’insoddisfazione maritale della classe media italiana, pieno di cifre e senza nemmeno un cazzo disegnato) oppure che effettivamente lei desiderava che – e di conseguenza si comportava come se – io non ci fossi e non ci fossi mai stato. Sono rimasto lì, mentre lei è rimasta lì, io a consolarmi con le tette enormi di una raccolta di foto di pinup dalle origini ai giorni nostri, lei a rimirarsi trionfante una specie di enciclopedia dell’orgasmo femminile: con la quale, dopo cinque minuti di ammirazione incondizionata e di mia ulteriore silente umiliazione, s’è girata e s’è diretta verso il suo, presumo, fidanzato, lasciandomi lì a pensare se in fin dei conti non sono solamente un povero coglione.

lunedì 4 giugno 2007

Asia d'Argento, sempre di più

Io preferisco sempre scrivere parole che postare foto, anche perché mi è stato fatto notare che foto porche si trovano un po' ovunque ma parole eccitanti mica tanto. D'altra parte non sono un distributore automatico, e soprattutto dopo ore e ore di lavorìo al computer m'è venuto il comprensibile istinto di perdere il tardo pomeriggio a innamorarmi di questa foto, trovata sul sito di Asia d'Argento e opera (d'arte) di Fernando Gallinelli (le altre le potete vedere qui):


Converrete che c'è tutto. Il fondo nero e misterioso. La sedia in vimini come Emanuelle. La pettinatura impeccabile. Lo sguardo cattivo e promettente al contempo. Il sorriso appena accennato. La spalla sinistra vezzosamente alzata. I tatuaggi più arrapanti che si possa immaginare. Il pizzo nero. Le calze a rete. Le gambe aperte senza che si veda nulla, ma facendo intuire tutto. E ovviamente le tette perfette di Asia, e ovviamente i capezzoli perfetti di Asia. E soprattutto il contrasto della loro morbida rotondità con la lunghezza delle unghie, dei rostri, degli artigli creati per graffiare e far sanguinare e far esplodere le carni.

venerdì 1 giugno 2007

Una birra insieme

“Sounds good!” – “Va bene!”. Il mio inglese è imbarazzante ma, da quando un paio di settimane fa una ragazza americana s’è trasferita a vivere al mio stesso pianerottolo, ho ritenuto che fosse il caso di ripigliare la grammatica, toglierle le ragnatele, e prepararmi un discorso verosimile (e comprensibile) per abbordarla non appena l’avessi incontrata da sola, ovviamente per caso… Così quando ieri ho aperto il portone nel momento stesso in cui lei stava entrando (giuro che non m’ero appostato), sono riuscito senza sforzo apparente a chiederla se era appena arrivata e se le andava che più tardi in serata salissi da lei con un paio di birre. Se non aveva niente da fare, ovvio. E lei non aveva niente da fare, e quindi tutta contenta risponde: “Sounds good!”.
Tutta contenta come solo le americane sanno essere. Brittney (mi ha spiegato, dopo, che all’anagrafe la mamma l’ha scritto così, con la doppia t, quindi tanto per dire non come Britney Spears) viene da Atlanta (Georgia) e insomma – sarà pure leggermente tracagnotta, parlerà pure ad alta voce, vestirà in maniera surreale e si truccherà con estrema fantasia – però ha sempre il vantaggio di non essere una delle solite ragazze europee (e peggio ancora italiane) involute, self-obsessed (un’altra parola che mi ha insegnato lei), intellettuali e un po’ stronze. Se Brittney pensa una cosa, la dice; se prova un sentimento, lo esplicita; se le viene un’idea, ti chiede cosa ne pensi.
L’idea che le era venuta, ieri sera dopo mezz’ora di chiacchiere vuote, è stata quella di farsi scivolare un po’ di birra sulla maglietta e poi iniziare ad avvolgere con le labbra il collo della bottiglia di Carlsberg, lanciandomi uno sguardo inequivocabile e per giunta, temendo di non essersi spiegata, chiedendomi: “Che ne diresti di…”Forse perché ero troppo carico, forse perché da due settimane mi sveglio ogni mattina con un’erezione dedicata a lei, non me lo sono fatto dire due volte – anzi, non ho manco aspettato che finisse di parlare per tirare fuori dalla zip un’erezione più che decente. Ma lei ha riso, sorprendentemente, e mi ha porto la bottiglia. Allora ho capito. Gliel’ho svuotata addosso, mentre lei con la lingua protesa cercava di trattenere la birra che non le finiva sulla maglietta e, nel frattempo, ha aperto le gambe. Poiché quando l’avevo incontrata al portone indossava dei jeans, mentre ora aveva degli short piuttosto larghi e facili da scostare, ho capito che doveva essersi preparata per bene all’incontro, e averci pensato a lungo mentre io prendevo le birre. Quando la birra è finita ho avvicinato il collo della bottiglia alla sua fica, ubbidendole nel momento stesso in cui mi diceva di metterglielo dentro.
Dapprima mi sono contenuto, ho lasciato che la bottiglia la penetrasse gentilmente e solo parzialmente – in fin dei conti ero ospite di una persona con cui non avevo ancora tanta confidenza. Ma quando ha detto, senza mai smettere di sorridermi e di sembrare a perfetto agio, che voleva che mi impegnassi di più, ho fatto in modo che non solo il collo ma quasi tutta la bottiglia le sparisse dentro. Allora ha fatto una cosa che non mi sarei mai sognato: ha iniziato a grugnire. Sarà che era tracagnotta, ma la scena di lei che grugniva come un maiale, peraltro con un notevole talento, mi è parsa assurdamente eccitante e mi ha fatto risorgere l’erezione che la sua risata (e soprattutto il suo preferire una bottiglia al mio cazzo) aveva fatto calare. Lei allora, dicendomi di non fermarmi, s’è spostata quel tanto che bastava a consentirle di prendermi il cazzo in mano e avvicinarlo al suo collo ancora gocciolante di Carlsberg. Più agitavo la bottiglia dentro di lei, più lei col palmo della mano strofinava il cazzo sul suo collo: la posizione era scomodissima e per certi versi preoccupante, oltre che molto poco educata, e poi il mio inglese era ancora abbastanza imbarazzante da non consentirmi di capire cos’ha urlato dopo cinque minuti di quest’intensità. Qualcosa che aveva a vedere con me, Dio, la merda e il timore che perdessi la presa e facessi scivolare la bottiglia dentro di lei. Invece sono stato pronto e, nonostante i suoi sobbalzi, l’ho trattenuta e l’ho estratta; ma a vederla venir fuori tutta sporca non ho resistito e le sono venuto sul collo. Brittney ha riso. In dieci minuti avevamo combinato un macello incredibile, sul pavimento, e si sentiva distintamente l’odore di birra e di sborra mischiate assieme. Bisognava pulire, e mentre lei si raddrizzava gli shorts io mi sono avvicinato al bidone della spazzatura per buttare la mia bottiglia mezza piena e la sua, calda e vischiosa. Ma Brittney, con l’aria positiva che solo un’americana può avere costantemente, mi ha detto: “Quella non buttarla, voglio conservarla”; allora sono stato io ad esclamare: “Sounds good!” - “Va bene!”